GLI ULTIMI "FAUGNI" E TANTA DEVOZIONE...

CORSI E RICORSI NELLA FESTA DI S. LUCIA IN ATRI

Nella chiesa di S. Reparata in Atri, nel fianco destro, è stata provvisoriamente collocata la statua di S. Antonio di Padova, opera di artigiani altoatesini, realizzata pochi anni prima dell’ultima guerra mondiale, dopo il ritorno dei francescani conventuali (1936) nella città dei calanchi. La stessa posizione ebbe per un certo periodo, il simulacro di S. Lucia, quello che attualmente sormonta il S. Antonio, dall’abito conventuale, con la corona delle sette allegrezze e Gesù Bambino in braccio, con ai piedi il libro. S. Lucia, era ubicata nel prolungamento absidale, nel lato del Vangelo, in uno dei vari spazi ricavati nel muro.

La festa di S. Lucia, dice il fondatore del Museo Etnografico Ettore Cicconi, era la più sentita delle celebrazioni atriane nel solstizio invernale con l’accensione dei fuochi. Atri aveva tre altre consuetudini nel giorno della Santa: i fedeli entrando in chiesa si bagnavano gli occhi con l’acqua santa, l’accensione di due candele davanti all’immagine e la fiera. Quest’ultima non era molto sentita, perché presto ne sarebbe arrivata un’altra, la fiera di S. Tommaso Apostolo, il 21 dicembre, inserita nel calendario atriano non per un particolare legame con il discepolo incredulo o con la città di Ortona (semmai il legame era con S. Tommaso d’Aquino e Loreto Aprutino), ma per un giorno idoneo nelle vicinanze del Santo Natale. Il nuovo calendario liturgico, entrato in vigore il 1° gennaio 1970, per liberare la novena di Natale dalle celebrazioni santorali, ha trasferito l’Apostolo al 3 luglio.

S. Lucia era venerata nella chiesa di S. Agostino, e quando quest’ultima fu chiusa per impraticabilità, il culto fu trasferito in Cattedrale. Gli atriani, devotissimi a S. Lucia, non hanno mai organizzato corali pellegrinaggi ai due centri luciani, a Venezia che ne custodisce il corpo nell’eponimio tempio che denomina anche la stazione ferroviaria e a Siracusa, città natale, con la chiesa di S. Lucia al Sepolcro. Né sono venute in Atri le reliquie della Santa, richieste dopo l’ultima guerra mondiale dal primo Vescovo di Penne-Pescara, dopo la separazione da Atri, Mons. Benedetto Falcucci. I ricordi luciani furono ottenuti e arrivarono a Pescara. Mons. Falcucci, compagno di studi del Card. Angelo Giuseppe Roncalli, futuro S. Giovanni XXIII, era cecuziente e nel 1959, proprio nelle mani dell’amico bergamasco, salito da poco sulla cattedra di Pietro, rassegnò le dimissioni, mettendosi a disposizione delle diocesi di Pescara e Chieti, soprattutto per il conferimento delle Cresime.

Il pellegrinaggio a S. Lucia poteva costituire il binomio con Padova, dove c’è l’altro Santo, assai legato alla storia antica e recente di Atri. Non è solo il Veneto a legare il confessore lusitano alla martire siracusana, ma anche il numero 13 del calendario: a S. Antonio spetta giugno, a S. Lucia dicembre e 13 è diventato, per giri non ancora approfonditi, il numero della fortuna. Ma nel gioco della tombola, quando dal sacchetto esce il numero 13, c’è ancora qualcuno avanti negli anni che nomina o S. Antonio o S. Lucia. E forse il pellegrinaggio poteva essere un trinomio, perché a Venezia c’è S. Rocco, nei pressi della Basilica conventuale di S. Maria Assunta (Gloriosa), appartenente alla Provincia Italiana di S. Antonio di Padova, nuova denominazione della giurisdizione dal 2013, perché in precedenza era la provincia patavina di S. Antonio dove ricadevano il Nord-Est e il Nord-Ovest, con l’inclusione di Piemonte e Liguria, in precedenza autonomi.

L’immagine di S. Lucia è presente in molte case atriane, accanto al letto o in bottega. Celebre rimane quella nel minimarket di Elvira Del Rocino, per più di un quarto di secolo, all’ombra dell’oratorio della Trinità. Il quarto Capo d’Atri allora era molto popolato, e la figura della martire a mezzobusto faceva la sua parte, assieme ad una lunga bottiglia, quasi la mascotte del negozio.

Gli ultimi “faugni” dell’anno erano quelli di S. Lucia, con levataccia antelucana, perché non era ancora giunta la “nottata” e men che meno “la notte dei faugni”. Si era ancora negli anni ’70, e la tradizione solstiziale non godeva ottima salute. Si criticava tutto quello che profumava di passato, e Atri, ricca di tradizioni popolari poteva prendersi il lusso di cancellare questa o quella consuetudine, perché tanto rimanevano le altre. Non così avveniva per Fara Filiorum Petri, dove le farchie rappresentano quasi una ragione di vita e toglierle significa suscitare la rivoluzione.

La sera, processione, con il simulacro di S. Lucia e l’accompagnamento della banda. Ricordiamo la formazione coordinata e diretta dal m° Cav. Glauco Marcone con i giovani allievi, in primis i fratelli Carmine e Concezio Leonzi fondatori e direttori di cori polifonici e folkloristici, Walter Carulli, Ettore Cicconi, Franco Fuschi, Antonio Assogna e tanti altri. Contemporaneamente c’erano pure altre tre celebrazioni rurali, con riferimento ad Atri capoluogo per le parrocchie: l’omonima chiesa sulla SS. 553 nel piviere di S. Nicola, S. Martino nel territorio di S. Maria nella Cattedrale e la Madonna delle Grazie per la parrocchia di S. Gabriele.

Chi si chiama Lucia in questo giorno fa la festa onomastica ed è occasione per l’invito di amici e parenti, con i primi dolci natalizi. E anche per ricevere gli auguri, dato che S. Lucia la ricorda anche chi non è appassionato di agiografia o tradizioni popolari. E’ una data calendariale troppo in evidenza, troppo universale, non soltanto atriana. “S. Lucia è il giorno più corto che ci sia”, è la notte più lunga dell’anno e questo diventa occasione per stare più nell’intimità della famiglia, spegnendo il pc o il televisore, e dialogando serenamente nella gioia.

SANTINO VERNA