TRADIZIONI E CURIOSITA'

LA PUPA, ULTIMO NUMERO DELLA FESTA DICEMBRINA

Entrata recentemente nella festa dell’Immacolata Concezione, in Atri, la pupa è l’ultimo “numero” della kermesse dicembrina, conosciuta soprattutto come “li fahegne”, per dirla con l’atriano verace, mentre in quello più pulito si dicono “li faugne”. Un altro caso sono le storpiature di altri paesi abruzzesi dove la gente con gran curiosità scruta il mattino dell’8 dicembre nella città dei calanchi.

La pupa (atrianamente chiamata “la pepe”) è un fantoccio di cartapesta, dalle fattezze femminili, la cui origine risale alla consuetudine di mettere oggetti antropomorfi presso le case o le campagne con valore apotropaico, ovvero per allontanare gli spiriti maligni. Consuetudine non soltanto abruzzese, ma presente in molte aree, come in Albania, dove in tutti i giorni dell’anno sono esposte alle finestre, alcuni fantocci che mandano via, secondo la gente del luogo, gli influssi maligni.

Mentre i fantocci balcanici hanno le caratteristiche della strega, o meglio di quella che ci ha tramandato soprattutto l’ambito disneyano, della donna emaciata e nasuta, malvestita e dall’aspetto che incute paura, la pupa abruzzese accentua le abbondanti forme femminili, dove il gradevole sovrappeso era sinonimo di serenità, salute e quindi energia per svolgere le mansioni campestri e domestiche. Nel caso della “pupazza” abruzzese o “pantasima” come vien denominata in altri luoghi, viene accentuato il seno. Poi è venuta l’epoca dell’ortoressia sfociata nell’anoressia, tipico male di un Occidente sazio e disperato. Il vestito è tutto colorato. Fa la sua figura presso il Museo delle Genti d’Abruzzo, a Pescara, e, ovviamente, al Museo Etnografico di Atri, ubicato nei vani spesso legati ai preparativi della festa dell’8 dicembre, anche per la vicinanza alle piazze interessate.

E’ stata scelta per chiudere i festeggiamenti dell’Immacolata, in sostituzione dello sparo che conclude tutte le feste cittadine e rurali con programma anche ricreativo, come S. Reparata e S. Rita. Dato che i fuochi pirotecnici fanno l’apparizione in tarda serata, l’8 dicembre era poco propizio per una tal soluzione. Fa freddo e la gente rientra a casa, dopo la notte passata in bianco per attendere i “faugni” e la giornata certamente movimentata per alcune categorie di cittadini: in primis gli organizzatori della festa, i collaboratori della parrocchia, i componenti della schola cantorum, quanti son stati dietro le quinte per lo svolgimento della kermesse, i lavoratori e le casalinghe che preparano il pranzo festivo più lauto delle domeniche, con supplemento di dolci quando c’è una Concetta o un Concezio, nomi abbastanza diffusi dalle nostre parti.

Il ballo della pupa fu promosso da Antonino Modestini, storico presidente di uno dei tanti comitati organizzatori, per rallegrare i bambini. Nello spazio transennato i più piccoli attendono l’arrivo dell’intelaiatura sagomata e per ingannare l’attesa inventano giochi, cantano sigle dei cartoni animati o giocano per l’ennesima volta con il video-game di turno. Inizialmente fu scelta Piazza Duomo, centro delle celebrazioni dell’8 dicembre, assieme a Largo dei “faugni” e cuore ecclesiale di Atri e della sua ex-diocesi. Ma qualcuno storceva il naso, perché un elemento profano, imbevuto di paganesimo, seguiva immediatamente il rientro della processione. Famoso rimane il commento di un atriano che vive fuori Abruzzo da più di mezzo secolo.

Da un po’ di un anni – e ci volle il clima del Grande Giubileo del 2000- la pupa (o meglio le pupe) balla in Piazza duchi d’Acquaviva, per consentire una miglior separazione tra sacro e profano. Il ballo è accompagnato dalla “bandicina” locale, in luogo dei brani etnomusicologici che potrebbero esserne la naturale colonna sonora. Per la festa di S. Agnese a Pineto c’è l’accompagnamento della fisarmonica.

Nel 1994 si diffuse nel pomeriggio la visita in Atri di Vittorio Sgarbi. Sarebbe venuto per ammirare gli affreschi della Cattedrale. La pupa passò in second’ordine, perché lo storico dell’arte di Ferrara era ben conosciuto per le frequenti incursioni televisive e l’impegno politico, anche come Sindaco di S. Severino Marche, una comunità simile per tanti versi ad Atri.

Qualcuno pensò ad uno scherzo. Il solito burlone di Atri aveva forse voglia di mettere colori di goliardia sulla cronaca del giorno dell’Immacolata. E invece, dopo la processione, da una vistosa automobile sbucò Sgarbi, certamente più eccentrico di Maurizio Calvesi o Antonio Paolucci, grandi conoscitori della Cattedrale di Atri, ma come Guglielmo Matthiae, celebri non molto oltre la cerchia degli appassionati, tanti per la verità, ma a volte con la pazienza insufficiente per ammirare e decifrare un pannello in Duomo.

La pupa è stata raccontata in una poesia in vernacolo da Antonino Anello. Ma l’artista atriano fa riferimento alla contigua festa di S. Lucia. Conclusione malinconica, l’anno che passa. E allo scoccare della mezzanotte del vicino 31 dicembre si avrà un anno in più. La pantasima nel giorno della martire siracusana cadeva a fagiolo in Atri, perché era l’ultima festa popolare dell’anno civile. E anche il giorno supplementare per iniziare o completare il presepe, in vista della novena di Natale.

SANTINO VERNA