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- Pubblicato Martedì, 01 Dicembre 2015
- Scritto da Santino Verna
SUL FILO DELLA AFFETTUOSA MEMORIA
I FAUGNI NEI RICORDI DELLA MIA INFANZIA
La festa mariana più sentita per me è stata sempre, e lo è ancora, l’Immacolata Concezione. Tutte le altre feste, memorie e ricorrenze di Maria Santissima, nostra Avvocata e Regina, sono ugualmente fondamentali, ma la prima solennità dell’anno liturgico ha qualcosa in più. Mio nonno Santino la visse per la prima volta in Atri, nel 1933, e ricordava le meravigliose novene nella chiesa di S. Maria Maggiore a Lanciano, dove era studente, alloggiando nell’angusto convento di S. Giovina. L’antica matrice della città frentana era rivestita di nivei panneggi, ricordo delle nubi del cielo, immagine dell’acqua che scende abbondante come benedizione. Mia nonna Liberatina, con la zia Mariassunta Pacchioli, partecipava all’Eucarestia in orario antelucano, non solo nel giorno dell’Immacolata, ma anche in quello di S. Lucia. La zia Mariassunta morì nel 1940 e la zia Jole, venuta da Fara S. Martino quattro anni prima, si associava alla nonna Liberatina per il rito dell’Immacolata, senza il frastuono dei fuochi.
I miei nonni si erano appena fidanzati in Atri, e il giorno dell’Immacolata, il sacrista Gaetano Cervone indicò a mio nonno, mia nonna, perché non riusciva a vederla, a causa della tantissima gente nella fredda Cattedrale. Poi vennero le novene nella chiesa di S. Francesco e per mio nonno l’edificio dell’Ordine Serafico ebbe la precedenza sulla Cattedrale e sui “faugni”. Purtroppo il nonno visse due degenze ospedaliere, proprio il giorno dell’Immacolata, nel 1987, a causa della glicemia nel nosocomio di Atri con tutti i rumori della “nottata”, ormai presenti anche nei luoghi non sfiorati dal corteo dei fuochi dell’Immacolata e nel 1991, presso la clinica “Villa Igea” di Ancona, perché l’indomani avrebbe subito una non lieve operazione urologica.
Mio padre fu sempre affezionato alla festa atriana dell’Immacolata, anche se non fece mai la “nottata”. Ne ha fatto, se vogliamo, una parte, con le “stoppette” tra amici, la sera della vigilia e così è stato fino a non molti anni prima di morire, anche se la prassi era modificata, con il gioco nelle ore pomeridiane e un caffè. Si alzava nel consueto orario alle primissime luci dell’alba, e svegliava anche il sottoscritto, invitandolo dalle prime parole alla kermesse paesana. Si usciva da casa e si andava in piazza dove i soliti amici lo aspettavano: Piergiorgio Cipollini, Peppino Di Giancroce, Massimo Rapacchia, Roberto Modestini e da Firenze tornava spesso e volentieri Costanzo Marcone.
La partecipazione straordinaria era sempre quella di Peppino Antonelli, insigne scultore, avvolto nel soprabito, attento osservatore della tradizione dicembrina e di tutte le consuetudini atriane. Con orgoglio diceva di essere il partecipante più avanti negli anni. Infatti ha partecipato fino alla fine, anche se l’ultima Immacolata della sua vita fu celebrata con la Basilica di S. Maria ancora chiusa. Sostituita dalla chiesa di S. Francesco, dove Peppino fu esequiato.
Facevamo tutto il giro, o comunque si mancava ad una piccola parte. Ero impegnato nelle scampanellate e nei calci a portoni e saracinesche: c’era un cancello particolarmente grande e rumoroso che costituiva per il sottoscritto il pugno clou del corteo dei “faugni”. La delusione arrivava quando il padrone era alla finestra o sull’uscio, in pigiama e vestaglia, con le pantofole, per evitare il risveglio degli altri della famiglia o per godersi un pezzo del corteo.
Un anno, per ragioni organizzative, la S. Messa del mattino fu posticipata alle 7, pertanto non immediatamente dopo l’unico falò alla fine della sfilata. Bisognava attendere un’ora circa, e nessuno aveva voglia di tornare a casa. Io ero con mio padre e Roberto, e il riempitivo di quell’insieme di minuti fu una passeggiata lungo Corso Elio Adriano, fino a Piazza duchi d’Acquaviva. Con Roberto si viveva anche un’altra celebrazione mariana, il 2 luglio, festa della Visitazione di Maria, popolarmente “Madonna delle Grazie”, con il pellegrinaggio a piedi al Santuario della Cona.
Poco prima delle 7 entrammo in Cattedrale, non più gremita come al tempo dei nonni, e ormai con il fastidioso sottofondo dei raudi, acquistati nei giorni precedenti dai ragazzi. La processione introitale fece il “mezzo giro”, muovendo dalla navata del Vangelo e la nutrita teoria dei ministranti era conclusa da un sacerdote sconosciuto, abbastanza avanti negli anni, robusto e solenne. Mio padre e io ci domandavamo chi fosse, e neppure Roberto seppe dare una risposta molto precisa.
Per vari anni la Messa dell’Immacolata era seguita dalla colazione, preparata da Concettina Centorame, moglie di Mario Muscianese Claudiani, in Largo Forcella, prima di entrare nel cartellone delle manifestazioni estive. Il gruppo della colazione era costituito da mio padre con il sottoscritto, Roberto, Peppino De Gabrielis, storico amministratore della chiesa di S. Francesco e altri concittadini. La colazione era fatta principalmente dai dolci, come l’antica tradizione dell’Italia Meridionale. Il caffè e il cappuccino erano l’ovvio complemento.
Variante della conclusione del giorno di festa era la passeggiata alla villa, mentre l’alba faceva l’ingresso nella giornata. Il più delle volte, mio padre, nel giorno della Madonna lavorava, quindi rientro a casa e subito partenza per Pescara. Non tornava a pranzo, ma immagino il desco in uno dei ristoranti convenzionati dove accanto ai colleghi, parlava della bellezza dell’8 dicembre atriano. Tornava la sera poco prima della cena e partecipava all’altro momento della solennità dell’Immacolata, la Messa con il “Tota Pulchra” di P. Alessandro Borroni che riascoltava anche al di fuori della festa, grazie al disco del suo amico, Prof. Alfonso Bizzarri.
Un anno, lo stesso anno della morte del nonno, nel 1995, il papà ebbe un lieve raffreddore invernale e non partecipò ai “faugni”. Nel 1996 riprese la tradizione, ininterrottamente, fino al 2009, quando la mielofibrosi aveva già fatto la comparsa. Avrebbe presenziato al rito dei fuochi dell’Immacolata fino all’ultimo respiro e tanto è stato.
In quelle ore dell’alba dell’8 dicembre, più di altri giorni dell’anno, i ricordi prendono consistenza nell’anima, nella certezza che siamo tutti sotto il manto dell’Immacolata.
SANTINO VERNA