Una lingua che ha ancora tanto da insegnare

IL LATINO TRASCURATO

Nel corso della mia attività professionale ho conosciuto giornalisti e professori inglesi con i quali ho intrattenuto cordiali rapporti colloquiali ed epistolari a lingue invertite, per un opportuno esercizio di costante aggiornamento delle rispettive lingue. Io parlavo o scrivevo in inglese e loro rispondevano in italiano, quasi  un divertente, utile  e costante esame.  Nell’occasione ho notato  che loro avevano un buona conoscenza del latino e della storia romana, financo dei più importanti versi  in latino dell’Eneide di Virgilio. Per contro ho notato che spesso perfino gli speaker  tv italiani  confondono il latino con l’inglese.

La conoscenza del latino in Italia è andata paurosamente scemando. Che lo si conosca sempre meno risulta evidente anche dagli strafalcioni quotidiani che per influsso di altra lingua “imperiale“ come l’inglese noi sentiamo per ogni dove: l’iter pronunciato “aiter“, iunior, quand’è scritto junior, pronunciato “giunior”.

Capita, com’è noto, ad una sfortunata annunziatrice televisiva leggere “sain dai” un “sine die“ che trovò scritto sul foglio. Ora fa  più  “in“,  più professional, la citazione di un termine inglese. Se ne è lamentato in un articolo il linguista Gian Luigi Beccaria, membro dell’Accademia della Crusca e dell’Accademia dei Lincei, stigmatizzando l’abbandono dello studio del latino a vantaggio dell’inglese.

Rifletto con rammarico anche sulla scarsa considerazione che oggi gode in certi ambienti la lingua degli antichi romani.  Da tempo ci si chiede se sia il caso di dedicare tanti anni della nostra vita, gli anni della scuola, a studiare il latino. E non è nuovo questo lamento. Oggi l’aria dei tempi  ha ormai messo in un angolo gli studia humanitatis e lo studio del latino, ritenuto esercizio scolastico faticoso ed inutile.

Stiamo così perdendo il forte appoggio di una lingua che ci aiutava a capire gli elementi e le strutture della nostra: a penetrare nell’universo stesso delle parole tecniche delle scienze,  se è vero che nell’immenso serbatoio del lessico scientifico c’è un mastice, una forma lontana eppure ancora così presente, che lo tiene insieme, e che è per molta parte latino (oltre che greco: radici, suffissi, suffissoidi, prefissi, prefissoidi).

Senza le lingue classiche non è facile maneggiare il lessico colto: esse sono un mezzo di collegamento e di unione tra le differenti lingue tecniche, giuridiche, filosofiche, la matrice dei linguaggi scientifico-tecnologici, una sorta di collante della comunicazione universale, l’elemento di base.

Alfio Carta