RICORDI ED EMOZIONI,LUOGHI SEGNATI DALLA STORIA E DALLA MEMORIA

SAINT-DENIS ANTICA CITTA’ DEI RE, OGGI SEMBRA RAQQA

I recenti feroci accadimenti  di Parigi mi hanno spinto a dolorosissime considerazioni sulle quali già tutti i media si sono a lungo soffermati e, quindi, ritengo superfluo indugiare con inutili riflessioni sul loro ambito socio politico. Stimo invece opportuno rivivere storicamente quei luoghi dove tante, tante volte  mi sono intrattenuto, oppure sono passato, durante il mio lungo soggiorno parigino di tanti anni fa.

Dall’inizio di questa tragica e triste storia  mi sto domandando come mai  il cuore dell’attacco, che ha così duramente colpito la Francia, il “covo” che ha ideato, pianificato e poi attuato l’attacco  si sia irradiato da un luogo, storicamente il più sacro della storia francese, ed anche, forse per desuetudine, il più ignorato  della pulsante antica storia, quella vera, della Francia, testimone di episodi epocali di quella remota storia, forse meglio  considerata dalla Jihad che da noi. Certamente l’eccitazione della tragicità dei concatenati  eventi avrà distratto i giornalisti da qualche riflessione storica.  È comunque certo, a mio avviso, che il terrorismo si connota per il suo spiccato simbolismo, la finalizzazione del proprio pensiero ad agire in funzione di messaggi simbolici  preordinati lucidamente a colpire rappresentazioni di realtà non solo spirituali, di idee, di istinti diversi da quelli risultanti dalla loro attuale forma esteriore. L’assassinio di Moro si è concluso nell’esatto luogo di incrocio fra Piazza del Gesù  (Direzione della DC) e Via Botteghe Oscure ( Direzione PCI), i simboli del compromesso storico avversato dai terroristi  rossi. Eccetera eccetera… Qualche lettore critico dirà che io confondo il simbolismo con le coincidenze; sarà, potrebbe essere, ma non cambio idea ! Anche se, devo ammetterlo, la situazione è quanto mai critica, irrazionale, un groviglio di intrecci religiosi, politici, frammisti a folli idee stragiste e di conquista, con un confuso traffico di armi che arrivano ai Jihadisti da ogni parte, anche occidentale.

Parigi ha tanti luoghi più modernamente simbolo della grandeur e della movida in  senso vero. L’Etoile, Notre Dame,  Moulin Rouge,  Rasputin (sulla cui arena teatrale si avvicendano tante scene di teatranti  e attori qualificati  e  sulle cui teste piovono dal pubblico in genere americano –  le deprecabili  icone dell’avversato capitalismo – tanti biglietti di dieci dollari) ;  e  tanti altri famosi locali al cui cospetto Bataclan impallidisce. Quale sarà stata, allora, la regia di quest’attacco? Quale il sottile fine che ha regolato il tragico evento?

In linea d’aria,  Notre Dame dista qualche  chilometro. Ma se percorri per qualche centinaio di metri  Rue de la Republique, lì dove pochissimi giorni fa, prima dell’alba si è scatenato l’inferno, arrivi alla basilica di Saint-Denis, che Pierre de Montreuil edificò nella seconda metà del 1200  e dove due secoli dopo Giovanna d’Arco andò a far consacrare le armi con cui aveva difeso Parigi. Contrasto più stridente non ci potrebbe  essere: un sobborgo che per alcune ore  è sembrato un quartiere di Bagdad, il bianco giallo delle  cellule fotoelettriche, il crepitare di armi da fuoco, poliziotti in assetto di guerra, una kamikaze Jiadista che si fa saltare in aria, morti e feriti, e quello stesso sobborgo che è tutt’uno con la memoria nazionale di Francia, incarnato dal gotico di una chiesa, dalla sua storia infinita.  “Il re è morto! Viva il re!“ fu per quasi mille anni il grido che, secondo un rituale immutabile,  scandiva i funerali reali, da Pipino il breve a Luigi  XV, a simboleggiare la perennità della monarchia. Oggi quel grido sembra riguardare una nazione, il suo futuro come nazione.

A metà Ottocento, Saint-Denis aveva qualche migliaio di abitanti, la rivoluzione industriale di fine secolo  fece salire il suo numero a oltre centomila, l’emigrazione di prima, seconda, terza e quarta generazione lo hanno reso oggi una realtà ibrida, dove la Francia operaia e piccolo borghese è ormai minoritaria. Ieri pomeriggio, nel guardare alla televisione le immagini successive al blitz, con Rue de la Republique, la  sua strada principale, riconsegnata al passeggio e al commercio, il numero di donne velate  spiccava nella  umanità variopinta, eccitata ed impaurita, che faceva corona intorno ai giornalisti e alle telecamere.

Eppure è a Saint-Denis, a qualche centinaio di metri, dunque, da quel sanguinoso raid,  che Enrico IV abdicò nel 1593; che tutte le regine di Francia, da Anna di Bretagna  a Maria dei Medici, furono incoronate;  che il grande Bossuet pronunciò le orazioni funebri che gli assicurarono la fama letteraria. E proprio perché luogo simbolo, luogo emblema, durante la guerra dei Cento anni, le guerre di religione, la Fronda contro  l’assolutismo regio, la basilica, quella basilica, fu anche luogo di distruzioni e di saccheggi, le tombe in argento di Filippo Augusto e di San Luigi trafugate nella notte.

Non è insomma la prima volta che la “chiesa dei re“ conosce la distruzione, la morte, il terrore. Nel 1793 la collera rivoluzionaria arrivò a sommergerla. Franciade venne ribattezzata e trasformata in tempio della Ragione prima, in magazzino per il fieno dopo, in  deposito di artiglieria  infine. Le sue statue furono mutilate, o fatte a pezzi, le tombe reali profanate  ed i corpi in esse contenuti scaricati alla rinfusa nelle fosse comuni,  “il  popolo gettando la  polvere dei re  morti sul viso dei re viventi per accecarli“, come scriverà Chateaubriand nelle Memorie d’oltretomba.

Quindici  anni fa, la costruzione a poca distanza, del nuovo Stade de France, cercò di rilanciare nel segno della grandeur sportiva un sobborgo di cui non si riusciva più a cogliere un tratto distintivo veramente francese, nonostante la municipalità avesse anni prima eretto un teatro dedicato alla memoria ed al nome di Gèrard Philippe, l’attor giovane per eccellenza di Francia, l’artista la cui vita era stata breve come un sospiro.

È proprio allo Stade de France che è cominciata quella mattanza terroristica fondamentalista di cui il blitz dell’altro ieri sembra purtroppo essere un’altra tappa e non la fine.

Sempre non lontano da Rue de la Republique, il museo municipale conserva manoscritti e documenti di Paul Eluard, che a Saint-Denis era nato. Una delle sue poesie più famose si intitola  Libertè  ed il suo ultimo verso dice: “Per la forza di una parola /  io ricomincio la mia vita /  Sono nato per conoscerti/  per nominarti /  Libertà“.

Alfio Carta