LA CHIESA DI S. AGOSTINO ERA DEDICATA A LEI, LE TANTE RAFFIGURAZIONI IN CATTEDRALE...LA MEMORIA SCOMPARSA

S. CATERINA, UNA FESTA DEL TUTTO SEPOLTA AD ATRI

Il 25 novembre si festeggia S. Caterina d’Alessandria, vergine e martire. Presente nel calendario romano, fu espunta dopo la riforma liturgica del Concilio Vaticano II, perché imbevuta di notizie leggendarie e perché forse di rilevanza non proprio universale. Ma S. Caterina, da non confondere come qualche volta accade, con l’omonima senese, patrona d’Italia e compatrona d’Europa o S. Caterina Labourè, la vincenziana legata alla Medaglia Miracolosa.

La memoria facoltativa è stata ripristinata nel 2002, grazie a S. Giovanni Paolo II, dopo la visita al Sinai, dove riposa la martire filosofa, durante il Grande Giubileo del 2000. E’ una data molto importante nell’almanacco agricolo, perché indica l’inizio dell’inverno, con le rigide temperature, anche se in Abruzzo si diceva: “San Martinelle/ la neva ‘nterre”, riferendosi al 18 novembre, ottava di S. Martino di Tours e in quanto ripetizione in tono minore della festa liturgica, s’immaginava e si esponeva, dove era prassi, un S. Martino più piccolo, puntualmente relegato in sacrestia nell’orbita della riforma liturgica o in soffitta, lontano dagli affezionati, così “occhio non vede/ cuore non duole”.

A Galatina, nel Salento, la chiesa più famosa in Italia. E’ un po’ il corrispettivo della Cattedrale di Atri per quanto riguarda l’arte, del Salento, l’ultima propaggine della Puglia ricadente per intero nella provincia di Lecce, con estensione anche nelle limitrofe province di Brindisi e Taranto.

Anche Atri ha la sua chiesa di S. Caterina, per metonimia diventata S. Agostino. Eretta nel XIV sec. assunse la denominazione del Patriarca dell’Ordine degli Eremitani, perché i frati che s’ispirano al Vescovo di Ippona ne portarono e promossero il culto. Il portale (XV sec.), in stile gotico-fiorito, ha la presenza di S. Caterina, in posizione stante, per ricordare la primitiva ed effettiva titolare, mentre al centro, in trono, S. Agostino, con l’espediente iconografico del Vescovo rivestito del piviale, con la mitra in capo, ma con il saio dell’Ordine degli Eremitani. Gli Agostiniani non hanno un santorale folto come i Francescani, pertanto potevan lasciare spazio ad una Santa non appartenente alla famiglia religiosa. Simmetrico a S. Caterina, è S. Nicola da Tolentino, la cui iconografia, nel caso atriano, lo avvicina molto a S. Antonio di Padova, forse per ricordare la primitiva appartenenza ai Canonici Regolari di S. Agostino, molto potenti nella Lusitania del XIII secolo in lotta contro gli Arabi.

Sul fianco sinistro di S. Agostino, una vetrata policroma di bottega atriana, presenta S. Caterina d’Alessandria come titolare della chiesa, dove si custodiva pure il simulacro, custodito nel Museo Capitolare. L'iconografia è quella tradizionale, con il vestito lungo e la ruota dentata, strumento di tortura e di martirio. La ruota di S. Caterina, nell’accezione popolare, è diventato sinonimo di grande problema, ma è “vox media”, perché rappresenta anche la buona sorte. Dato che la ruota ha la funzione di girare, la fortuna può girare nel senso piacevole, ma anche in quello spiacevole.

Fu domandato una volta ad un signorotto qual’era il più grande desiderio del cuore. L’interlocutore si aspettava una risposta muta, perché non poteva desiderare altro. Aveva terreni, servitù, salute, e quant’altro si poteva immaginare. Il facoltoso rispose di volere un chiodo per fermare la ruota della sorte. Come dire: fino a questo momento mi trovo bene, perché non sappiamo mai cosa è riposto per la nostra vita. Senza essere pessimisti, ma semplicemente realisti.

In un pilone della cisterna romana, sormontata dall’interno della Cattedrale, è un affresco tardomedioevale di S. Caterina con S. Giovanni Battista. Anche qui la vergine di Alessandria, nell’iconografia tradizionale. Il pannello va datato verso la metà del XIV secolo.

Sempre nella cisterna romana, S. Caterina compare per prima, da sinistra verso destra, in una teoria di Sante, simmetrica a S. Lucia, certamente con venerazione maggiore, ad Atri come altrove, perché protettrice dell’organo della vista, e nel caso atriano, dei fabbri. Il dipinto, di maestro abruzzese, di sapore umbro-marchigiano, risale tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo. Se l’immagine centrale è quella più importante, dobbiamo dedurre che la protagonista della teoria, non è S. Caterina, ma S. Maria Egiziaca. Trova conferma nella vicina teoria di Santi, dove agli estremi sono S. Lorenzo e un Santo martire difficile da identificare, mentre al centro è S. Antonio Abate, il testimone della fede più dipinto nella Cattedrale di Atri, con il campanello nella mano sinistra e la ferula nella destra.

Ma il dipinto più importante di S. Caterina, nel complesso della Basilica di S. Maria, si trova all’interno della Cattedrale, risalente al secondo decennio del XV secolo, quando Atri si avvicinava alla pagina più sgargiante della sua trimillenaria storia. Si trova sul primo pilastro ottagonale, della navata destra. L’autore, appartiene alla cerchia dei pittori umbro-marchigiani, del gotico internazionale, e trova un consistente legame negli affreschi di S. Maria a Piè di Chienti, a Montecosaro, nei pressi di Civitanova, e S. Maria in Piano, a Loreto Aprutino, cittadina molto legata ad Atri, perché condivideva con essa, la rivalità con Penne, accentuata dall’aspirazione alla sede vescovile, mai ottenuta, ma compensata, nel 1711, con l’arrivo delle reliquie di S. Zopito martire.

S. Caterina, raffigurata addirittura con tre ruote, non crea problemi iconografici. Li crea il Santo accanto, identificato ora in S. Biagio, ora in S. Nicola di Mira. Il problema è il giovinetto che prende per la cima dei capelli. Si ricollega all'episodio di Adeodato, restituito ai genitori, ma può essere, secondo alcuni studiosi, il bambino con la spina di pesce alla gola che ringrazia il Vescovo di Sebaste, offrendogli un calice liturgico. Paramenti e insegni non aiutano certamente nell’identificazione, perché il gotico internazionale non ha cura degli abiti orientali, guarda Bisanzio con la spessa lente dell’Occidente. Cosa che si ripete quattro secoli più tardi, quando gli innamorati del Medioevo, guardano quest’ultimo, con gli occhi dell’Ottocento.

Il nome della martire di Alessandria ricorre nella dinastia acquaviviana. Andrea Matteo, il “Lorenzo il Magnifico” di Atri, uomo di lettere e d’armi, aveva la madre che si chiamava Caterina Orsini e la seconda moglie Caterina Della Ratta. Due monache con il medesimo nome, rampolle della famiglia del Regno di Napoli, vissero nei monasteri di S. Pietro in Atri e S. Benedetto in Conversano. Quest’ultimo, per vari secoli, unico caso in Occidente, ebbero il privilegio delle Abbadesse mitrate. La massima autorità del monastero, oltre al pastorale previsto in altri luoghi contemplativi, cingevano la mitra, retaggio bizantino legato a Dameta Paleologo, giunta dal Peloponneso a Brindisi. Per questo nacquero conflitti tra Conti e Vescovi, risolto con Murat nel 1810, quando si poneva fine al “Monstrum Apuliae”.

Le Cistercensi di S. Pietro in Atri erano legate spiritualmente alla chiesa di S. Caterina (S. Agostino) nella città dei calanchi e per questo confezionarono il simulacro giacente di S. Massimo martire (1853) donato dal Beato Pio IX alla Congrega dei Cinturati, corrispettivo agostiniano dei Terziari Francescani.

SANTINO VERNA