DIBATTITO APERTO

LO SPOPOLAMENTO DEL CENTRO DI ATRI: PIU’ PER I TURISTI CHE PER I RESIDENTI

Puntuale e precisa l’analisi dell’architetto Luciano Brandimarte sullo spopolamento del centro storico di Atri, ormai fatto inesorabile. Ovviamente il carissimo Architetto ha analizzato il fatto con dati alla mano e con la competenza professionale e scientifica. A questo si possono aggiungere tante osservazioni, di semplici cittadini, come il sottoscritto, digiuno di architettura e urbanistica, ma con il vuoto delle vie atriane sotto gli occhi.

Negli anni del miracolo economico, tanti lasciavano la parte intramurale di Atri per abitare nel rione S. Antonio o nelle aree adiacenti, perché si aveva la casa più grande, con il garage dove mettere una delle prime automobili, i doppi servizi, la riduzione del controllo sociale, in quanto stare in una via in pieno centro o in un vicoletto di Capo d’Atri o Porta Macelli, significava avere gli occhi puntati del vicino di turno sull’amico venuto per una visita. L’osservazione era più intensa, quando l’amico era forestiero. In altri casi si lasciava la cittadina dei calanchi per le località costiere, Roseto, Pineto, Silvi etc. oppure, per lavoro, si emigrava all’estero, come il Belgio o la Svizzera, o in Italia Settentrionale, specialmente in Liguria, o a Roma. I ritorni nel corso dell’anno erano sporadici, dipendevano dalla lontananza.

La nostalgia del centro era certamente grande, ma sul tavolo di costi e benefici, veniva fuori che stare in Viale Risorgimento comportava più i secondi che i primi, sia in inverno che in estate. In inverno perché la strada statale aveva l’autovettura per togliere la neve (minore a quella di Atri centro), in estate, perché se si rompe la macchina e vuoi andare in spiaggia, le corriere passano vicino casa. Nella parte intramurale se vuoi prendere una corriera per le località costiere e abiti vicino S. Nicola, devi percorrere in lungo praticamente tutta Atri. Con la gioia della ragazza anoressica alle prese con i calcoli dei kilometraggi e degli invisibili aumenti ponderali o dell’adulto avvezzo al piacere della buona tavola o alla veloce consumazione di spuntini, dove regna l’illusione di bruciare le calorie di troppo facendo qualche kilometro in più dall’ufficio a casa.

Sembra rivedere la pubblicità di un vino, di alcuni anni fa, con Federico Fazzuoli, conduttore di “Linea Verde”, uno dei “mostri sacri” di mamma RAI. E il volto televisivo aretino faceva il paragone con le automobili. La casa atriana in periferia è come un buon vino economico dei giorni feriali o un’utilitaria che parcheggi facilmente, l’avito palazzo dentro le mura, magari con qualche dipinto sulle pareti, equivale al caro rosato della festa, dove il leggiadro involucro è valore aggiunto o al veicolo da parata che non ha proprio sotto gli occhi il piccolo stallo di sosta.

Stessa cosa per il pullmino delle scuole dell’obbligo. Il servizio viene erogato per tutte le aree al di fuori del centro storico, ma la scuola elementare non si trova praticamente in quest’ultimo. Se piove o nevica oppure fa freddo e si rischia un principio di bronchite, lo scolaro vicino alla rocca di Capo d’Atri, deve fare tutta Atri per lungo. E invece se abita nel rione S. Antonio, più lontano, ha il servizio per Viale Umberto I.

Nell’ambito di “Italia Nostra” una ventina d’anni fa si parlava di un sistema di scale mobili o ascensori, come in altre città italiane, grandi e medie, per collegare la parte bassa con quella alta, praticamente la periferia al centro storico. Era una spesa molto grande, ma vi avrebbe guadagnato il turismo, soprattutto estivo, ma anche invernale, con tanti abruzzesi che fanno la classica gita domenicale fuori porta. E perché no, tanti atriani, soprattutto anziani (l’Arch. Brandimarte ha rilevato che Atri è una città “di” anziani, ma non “per” anziani) o con problemi di motricità.

Un altro problema, già precedentemente sollevato, e rimbombato negli incontri ambientalisti di Atri, dove c’è una forte preoccupazione per la cultura, le chiese prive di scivoli. La chiesa di S. Nicola, ad es., è dotata di antiche scale e chi ha un carrozzino o un passeggino fa una certa difficoltà, senza dimenticare i tanti anziani dell’allora popolosa parrocchia che vogliono andare a Messa o semplicemente sostare davanti al Santissimo. Sarebbe una spesa non molto grande, ma si risolverebbe un problema.

Dalla Rocca di Capo d’Atri alla fine del piviere di S. Nicola ai confini di S. Maria gli abitanti sarebbero 300. Dei 2-3 mila del centro storico, vale a dire la parte dentro le antiche mura, intervallate dalle quattro porte storiche, di cui rimane soltanto (e parzialmente) quella di S. Giovanni (S. Domenico), ingresso nordorientale della cittadina. La porta fu decurtata dopo l’ultima guerra mondiale, per ragioni di viabilità su gomma, e si salvò dalla demolizione, anche per l’attaccamento dei contradaioli. Nel centro cittadino verrebbero compresi però anche i cittadini di Via Canale, fuori porta S. Domenico e l’area dei campi da tennis, certamente più centro storico di Viale Risorgimento o Via Finocchi.

Gli atriani ora versano lacrime di coccodrillo, dopo anni di poca considerazione verso l’arte e i tesori etnodemologici. Tra poco è la festa dell’Immacolata, parte la meravigliosa macchina organizzativa, ma da tanti anni, il corrispettivo di Fara Filiorum Petri, un paese quattro case e un forno, rischio non lontanissimo per l’area intramurale, aveva la pattuglia di volontari campanilisti che mettevano lo scarno manifesto delle farchie anche in comuni molto lontani da Fara.

E Atri, tremila anni di storia, sotto la giurisdizione di più sovrintendenze, cinque musei, una meravigliosa Cattedrale, tante chiese, una più bella dell’altra, figli illustri in ogni epoca, una tradizione teatrale sempre molto florida con i suoi artisti e i suoi organizzatori, si svegliava felice (chi non faceva la “nottata” ovviamente), contenta di aver solo una sparuta cerchia di forestieri, molte volte messe in difficoltà, dal pernottamento.

Perciò, rimbocchiamoci le maniche, seguiamo i consigli degli esperti, facciamo discernimento, e non permettiamo che il centro storico di Atri, quello dentro le mura s’intende, risponda alla locuzione “quattro case e un forno”.

SANTINO VERNA