UNA AFFETTUOSA TESTIMONIANZA

RICORDO DI DON PEPPE DI FILIPPO

Apprendo la notizia della nascita al Cielo di Mons. Giuseppe Di Filippo nella Basilica Superiore di Assisi. Eravamo in quasi 500 al convegno GVA, dove approdai la prima volta nel 2003.

Don Giuseppe è stato per 32 anni, praticamente fino all’ultimo respiro, Parroco di S. Nicola in Atri, la chiesa che custodisce tutta la mia biografia e quella dei miei cari. A S. Nicola si sposarono i miei nonni nel luglio 1936, sia nonna Liberatina che nonno Santino vi son stati esequiati, e il sottoscritto è l’unico componente della famiglia ad aver ricevuto (e la Prima Comunione proprio dalle mani di Don Peppe) nella più antica chiesa atriana, tutta l’iniziazione, compresa la Prima Confessione, con la prova di qualche giorno prima, nell’attigua sacrestia. Al convegno c’era come sempre il nutrito gruppo dei ragazzi di Bari ed è come se vedessi in ciascuno di loro, per quanto vi sto raccontando, una parte di me stesso.

Don Peppe è stato il primo sacerdote diocesano al quale ho servito Messa. Il primo fu un religioso, perché c’era la missione popolare dei Passionisti, nel 1984, e si chiamava P. Gabriele Vicentini. Aveva impersonato S. Gabriele dell’Addolorata, nel fotoromanzo con la solerte guida del Servo di Dio Mons. Amilcare Battistelli e il male del secolo lo portò via nel giugno 1985.

Con Don Giuseppe i rapporti non furono sempre lisci come l’olio, per la mia passione maniacale per il servizio liturgico, pari a quella per le automobili che aveva un carissimo amico di mio padre. Se quest’ultimo parlava per più di due ore e mezza, senza cenni di stanchezza, di veicoli e formula 1 con tutto quello che avveniva dietro le quinte, l’allora Santino Verna lo faceva per corrispondenza, attraverso annunci su un giornalino dell’Università Cattolica. Purtroppo non c’erano coetanei pugliesi con cui parlare di processioni e bande musicali, ma uno era della Brianza, uno della Valtellina, e il dibattito sugli ostensori e i veli omerali funzionava ben poco.

La passione per la storia dell’arte, nata sui banchi di scuola, rinnovò l’amicizia con Don Giuseppe, sempre nel quadro della valorizzazione dei tesori della città di Atri. Non è stato solo Parroco di S. Nicola, ma Canonico Teologo, Amministratore del Capitolo e Arcidiacono, la prima dignità del collegio dei sacerdoti della Concattedrale. E insegnante di religione, nella s.m.s. “A. Mambelli”. Nell’Azione Cattolica diocesana, di cui è stato instancabile animatore, ha promosso la pallacanestro.

Era tifoso della Fiorentina, e in Atri non aveva tanti compagni di tifoseria. La passione era condivisa con P. Paolo Cerritelli, Parroco per un mandato dell’Assunta di Silvi e per lunghi anni Guardiano del Miracolo Eucaristico di Lanciano. E con il Prof. Gustavo Cuomo, pinetese di adozione e Santino Natale, il pescarese che si divertiva a stravolgere la dicitura “faugni” in salsa dannunziana. Per tutto l’arco dell’8 dicembre le salette di montaggio di Via De Amicis rigurgitavano di “faucchi” e pochi giorni dopo lo storico tecnico formulava il desiderio di venire ad Atri per la festa dell’Immacolata. Promessa non ancora mantenuta.

Don Peppe è stato Direttore del Museo Capitolare, e anche grazie a lui ha avuto una migliore lettura. In precedenza era solo un’appendice della Cattedrale, un museino senza grandi pretese, come direbbe Giancarlo Gentilini. Il massimo studioso dell’opera robbiana fece richiesta al Museo della terracotta invetriata nel 1998 per la mostra di Fiesole, ma Don Peppe, non lo permise, per motivi di prudenza. Era un’opera troppo preziosa per un trasloco! Un calice, una mitra, un pastorale possono uscire per una liturgia, ma la Maestà robbiana potrebbe farsi male.

Il “no” di Don Giuseppe si è trasformato in una maggior consapevolezza verso il secondo tesoro del Museo in un convenzionale ordine di importanza. L’importanza nei musei può essere soggettiva, la croce in cristallo di rocca può venir benissimo dopo la terracotta robbiana, perché quando guardiamo e analizziamo il dato oggettivo, la mente riceve un assortimento di imput legati all’opera. Ho ricevuto del bene in Toscana o da toscani? L’opera di Luca sarà la più bella del mondo. Il nonno è stato militare a Treviso? Il cristallo di rocca è mille volte più bello della terracotta.

Don Giuseppe è stato inoltre Rettore di S. Giovanni, una chiesa non-parrocchiale che assunse quasi la fisionomia parrocchiale in quanto chiesa capoquarto. Si doleva del prolungamento dei lavori di restauro e desiderava di celebrarvi una S. Messa prima di morire. Ebbe la gioia di vederne il ripristino nell’ottobre 2005, ma con il medesimo avveniva la riconsegna alla Parrocchia di S. Maria. Gli anni cominciavano ad essere abbastanza e preferì dedicarsi alla Parrocchia di S. Nicola, al Capitolo della Cattedrale e alla Curia Vescovile.

Ha valorizzato la festa di S. Rita e grazie a Don Peppe possiamo parlare davvero di erigendo Santuario. Vi ha portato un Cardinale di Santa Romana Chiesa, Vincenzo Fagiolo, l’ex-Generale degli Agostiniani Scalzi, P. Luigi Pingelli, uno stuolo di religiosi e ogni anno alla festa interviene il Vescovo diocesano. Mons. Di Filippo per la parte religiosa, il Cav. Antonio Concetti per quella civile-ricreativa, il prolisso manifesto, vi confesso, mi suscita sempre un pizzico di malinconia: come mi piacerebbe vederne uno simile, per la festa di S. Antonio di Padova!

Caro Don Peppe, grazie per la tua testimonianza, la tua presenza, la tua discrezione, il tuo legame profondo con Atri. Grazie per averci fatto riscoprire una serie di personaggi illustri che hanno formato l’Arcadia atriana. Non avevamo il cenacolo di Michetti, ma il piccolo mondo antico atriano ci andava vicino. Ti affidiamo con la preghiera al Padre Misericordioso e siamo vicini con l’affetto a tutti i cari della tua famiglia, sapendo che i nostri occhi pieni di lacrime sono rischiarati dagli occhi pieni di luce dei nostri defunti che ci guardano dalla Gerusalemme del Cielo.

SANTINO VERNA