Pubblicato Venerdì, 16 Ottobre 2015
Scritto da Santino Verna

MARIO SANTARELLI A SEI ANNI DALLA MORTE

IL PRINCIPE DEI GIORNALISTI SPORTIVI ABRUZZESI

Il 17 ottobre 2009 un’emorragia cerebrale portava via per sempre Mario Santarelli, il principe dei giornalisti sportivi abruzzesi, il re del calcio, il signore dello sport. La sera prima era stato scherzoso e gioioso come sempre e nessuno avrebbe previsto l’incontro con sorella morte.

Mario era nato a Vasto, da Cristinziano, funzionario statale e Giulia Raiani, maestra elementare, il 6 febbraio 1942, cinque anni dopo la sorella Lucia. Frequentò le scuole superiori a Vasto, espletò il servizio militare a Ferrara e si laureò in giurisprudenza all’Università di Urbino. Nella città di Diomede frequentò la Parrocchia di S. Maria Maggiore e l’AC, con la guida di un giovanissimo Don Stellerino D’Anniballe, anche lui volto televisivo, e fu devoto sostenitore del vastese più famoso del XX secolo, Giuseppe Spataro.

Arbitro di calcio, Mario cominciò prestissimo l’attività giornalistica, partendo dalla carta stampata. Assunto in RAI nel 1971, nei primi anni faceva la spola tra Vasto e Pescara. Nel 1974, sposò Naide Antonietta Padovano e Pescara divenne la città di adozione. Promosso Capo-Servizi si dedicò sempre allo sport, in particolare al calcio.

Nel 1979 il volto divenne noto a tutti gli abruzzesi, per l’entrata in funzione del TG regionale. A dirigere la redazione pescarese, Giuseppe Mori, già Capo dell’Ufficio Stampa del Presidente del Consiglio Fernando Tambroni. Era di Empoli, conosciuta dai profani di storia, per la squadra di calcio. Mario sorvolava sfacciatamente l’Empoli, anche se gemellata cromaticamente con il Pescara.

La sua fama aumentò con “Novantesimo minuto”, condotto da Paolo Valenti. Santarelli entrò nella cerchia dei giornalisti di provincia che raccontavano le partite della massima serie, o quando questa mancava per impegni della nazionale, di quella cadetta. C’erano Giorgio Bubba per Genova, Cesare Castellotti per Torino, Ferruccio Gard per Verona e Tonino Carino per Ascoli. Quest’ultimo, forse, divenne il più popolare del programma calcistico della domenica, anche per le imitazioni di Solenghi-Lopez-Marchesini.

Santarelli ebbe meno visibilità dell’omologo piceno, perché il Pescara ha avuto meno primavere in serie A. Ma era un profondo tifoso biancazzurro, avendo tre squadre. Oltre al Delfino, la Juve e la Pro Vasto. Per un breve periodo, fu simpatizzante e sostenitore della Trevana, piccolissima squadra di provincia che ha respirato la presenza di grandi del calcio come Ravanelli, Tacconi, Antognoni. Intervistò Renato Curi, il calciatore marchigiano morto improvvisamente sul campo. Ma anche P. Giorgio Di Lembo, realizzatore della palestra “Antoniana”, annessa all’omonima parrocchia di Pescara, il frate che portò la pallavvolo femminile in serie A-2.

La sua regione preferita, dopo l’Abruzzo, era l’Emilia-Romagna perché, deformazione professionale, aveva diverse squadre tra A e B. In testa alla classifica come belle regioni erano però la Toscana e il Veneto. Ma l’Umbria era sempre nel suo cuore, data la grande ammirazione per il Santo Poverello. Un tau nascosto dalla pulita e profumata camicia, adornata dalla cravatta scelta sempre con gusto, era il segno della sua spiritualità serafica, mai sbandierata.

Seguì nel 1986, alla vigilia dei Mondiali del Messico, la nazionale italiana, in ritiro a Roccaraso. L’Italia di Bearzot non ebbe grande successo quell’anno. Mario, con orgoglio campanilistico, quando presentava dirigenti e giocatori, cercava sempre un nesso, anche fulmineo, con l’Abruzzo. A partire da Franco Tancredi, il portiere giuliese della Roma, il medico Prof. Leonardo Vecchiet, chietino di adozione, dato l’insegnamento nel locale ateneo e Walter Zenga, fatto rientrare nella terra forte e gentile perché ha mosso i primi passi da professionista nella Sambenedettese, alla vigilia della felice stagione nerazzurra, passatempo domenicale di tanti sportivi della provincia di Teramo che brandivano più felicemente la bandiera rossoblu in luogo del delfino biancazzurro.

Fuori dalla sede regionale, ai pranzi con gli amici, si doveva assentare tra una pietanza e l’altra per seguire la partita. E portava l’immancabile radio che diventava l’attributo iconografico di Mario Santarelli. L’agitazione aumentava se era prossima la fine del campionato e si decidevano i verdetti. Se avevano perso Pescara, Juve e Vasto, l’assaggio della pizza dolce era un momento amaro.

Ebbe la ventura di commentare anche le due stagioni del Castel di Sangro, l’unica squadra della provincia aquilana nel campionato cadetto. E Mario, da pescarese d’adozione nutriva una bonaria rivalità verso l’Abruzzo occidentale. Raccontava l’episodio di un pranzo, per lavoro, nel capoluogo abruzzese. Dirimpetto due avventori, la cui conversazione insisteva sulla superiorità dell’Aquila su Pescara. Potevano aver ragione viste le opere d’arte e l’antichità della città. Dopo il caffè, si avvicina il cameriere che gli offrì gratuitamente tutto il pasto, perché aveva sopportato i rivali di Pescara.

Nel 1999, la mancata promozione in serie A dei biancazzurri. Era il 13 giugno, giorno di S. Antonio di Padova, di cui era devoto. La Basilica del Santo fu uno degli ultimi Santuari che visitò prima di morire. Quasi un anticipato distacco dalla terra verso il Cielo. In quel giorno l’Abruzzo era chiamato alle urne e il Pescara passava in secondo piano. Ma si collegò lo stesso con la sede romana e concluse, senza salutare il conduttore in studio, “La delusione, ovviamente, è tanta”.

Esequiato nella chiesa “Stella Maris”, vicina sia allo stadio che alla sua casa, le spoglie riposano nel camposanto di Città S. Angelo. A Pescara gli è stata doverosamente dedicata la sala stampa dello Stadio “Adriatico-Giovanni Cornacchia”. E sarebbe anche giusto intitolargli lo stadio di Vasto che porta la convenzionale dizione “Aragona”, ricordo di un’aristocratica dinastia passata. Mario appartiene all’era contemporanea della città di Diomede e alla storia di Pescara, dove la sede RAI ha costituito e costituisce un’importante tessera del mosaico della città dannunziana.

SANTINO VERNA