Pubblicato Mercoledì, 07 Ottobre 2015
Scritto da Santino Verna

LA NOSTRA CITTA',"SIGNORA DEI CALANCHI", SUL PRESTIGIOSO MENSILE

ATRI SU “BELL’ITALIA”

L’amico Ettore Cicconi, fondatore e direttore del Museo Etnografico di Atri, mi segnala un articolo sulla città dei calanchi. E’ l’ennesimo servizio sulla carta stampata su Atri, ma anche se fosse il millesimo, o il numero che non riesce ad entrare sul display della calcolatrice, è sempre una gioia, perché suscita l’orgoglio di Atri “in nazionale”, insieme ad altri tesori italiani.

 

I testi di Emanuela Teresa Cavalca e le fotografie di Giorgio Filippini restituiscono un consistente quadro della città, con il titolo “La signora dei calanchi”, mettendo in risalto la principale attrattiva naturalistica. E come immagine introduttiva, dopo i calanchi, il dipinto di S. Reparata, protettrice della città e dell’ex-diocesi, nel coro della Cattedrale. Nel santorale “per immagini” del maestro marsicano, la semisconosciuta vergine e martire di Cesarea, è raffigurata senza attributi particolari, al di fuori della palma del martirio, ma ha il plastico del paese, delimitato dalle mura, come nel busto argenteo.

La Cattedrale, ha ovviamente la parte del leone, e forse solo dopo l’ultimo ripristino (2008) l’abbiamo completamente apprezzata. Era il 1996, quando alla fermata degli autobus di Viale Pindaro a Pescara, dopo la giornata di orientamento dell’Università con l’illustrazione di facoltà e corsi di laurea nella città dannunziana per gli studenti del liceo, un uomo avanti negli anni voleva sapere, con molta discrezione, la mia provenienza. Gli dissi di Atri, e immaginavo, la litania degli artisti o delle tradizioni dell’anno presenti ancora nella città degli Acquaviva. E invece, un celebre primario ospedaliero. Atri, nel cuore di quel pescarese, ma forse di tanti pescaresi e di abitanti di altri luoghi, si esauriva nel moderno nosocomio del rione S. Antonio e questo senz’altro inorgoglisce molti, perché è un ospedale da amare e salvaguardare nella situazione attuale.

Un anno dopo, a Perugia, in un bar di Piazza Morlacchi, una giovane docente del Movimento, chiede la mia provenienza. Ovviamente gli dissi di Atri, e subito, mi cominciò a parlare della bellezza del Duomo, peraltro riaperto dopo un breve restauro. La riapertura non suscitò grandi commozioni, era l’inizio della novena dell’Immacolata, la Cattedrale era sempre bella, pronta per la Messa mattutina più attesa dell’anno, ma anche per la vespertina con il canto del Tota Pulchra.

L’articolo ha le immagini di altre chiese atriane, S. Giovanni e S. Nicola, e naturalmente parla dei Musei, perché Atri ne ha ben cinque, tutti racchiusi in un breve spazio. Un po’ come avviene a Pescara Vecchia, alias Porta Nuova, con la casa-museo di Gabriele D’Annunzio, il museo Cascella, il museo delle Genti d’Abruzzo e il Mediamuseum, nato dall’intraprendenza di Edoardo Tiboni, epilogo della principale istituzione culturale dell’Italia (lo si voglia o no), la Rai.

L’articolo, brevemente, invita alla visita di una nuova arrivata: la filanda Fioranelli. Già da diversi anni si parlava del tesoro di archeologia industriale, appendice del Museo Etnografico, imago brevis della laboriosità di tanti marchigiani che nel XX secolo colorarono la storia di Atri. Sembrò di ritornare alla seconda metà del XVII secolo, quando illuminati Vescovi marchigiani di Penne e Atri si fecero mecenati di tante iniziative, come il baldacchino in legno di noce di Carlo Riccioni, destinato alla Cattedrale per delimitare l’altar maggiore, come nella Basilica Vaticana, all’altare della Confessione, dove celebra il Vescovo di Roma.

La filanda Fioranelli, attiva dal 1936, conserva ancora i macchinari originali e i visitatori hanno potuto ammirarla nel maggio scorso, lungo la Circonvallazione meridionale. L’articolo si sposta a Pineto, per parlare, nella parte delle aree protette, della Torre del Cerrano, simbolo dell’omonimo comprensorio, nato nel 1998, unendo i comuni di Atri, Pineto, Roseto degli Abruzzi e Silvi, anche se in precedenza erano più uniti i tre comuni senza Roseto. La Torre del Cerrano, prende nome dal fiumiciattolo che idealmente divide Pineto e Silvi, e denomina anche una contrada rurale di Atri.

Fino al restauro di Villa Filiani, nel cuore di Pineto, con l’istituzione del Museo Etnomusicologico (2009), la Torre era l’unico stabile di un certo valore architettonico della cittadina balneare, escludendo la chiesa di S. Agnese, inaugurata solo due anni dopo la nuova S. Cetteo della vicina Pescara (1935), esempio di architettura neoromanica.

L’enogastronomia ha certamente il suo “dulcis in fundo” nell’articolo, perché gli atriani sono sempre stati buongustai. L’arte dolciaria raggiunge l’apice con il Panducale, la cui forma industriale a bauletto sostituì la tradizionale torta. Voleva essere forse l’alter ego del parrozzo, cantato dall’Orbo Veggente. Sulla carta ne era ghiotto, ma dal fisico asciutto e da tante testimonianze non era certamente vorace nell’alimentazione. Ma la firma di D’Annunzio sul dolce di Luigi D’Amico bastò a pubblicizzare la novità abruzzese, sulla quale fu scritta pure una canzonetta, con il testo di Don Cesare De Titta e la musica del m° Antonio Di Jorio. L’umanista di S. Eusanio forse lo mangiava con più gusto rispetto al trageda pescarese, soprattutto nei tanti momenti conviviali con l’Arcadia dell’Abruzzo, dove alter ego era Don Luigi Illuminati.

E si parla pure dei dolci delle clarisse. Ai quali si aggiungono le “nevole”, farcite con la marmellata d’uva. Corrispettivo frentano le “pizzelle”. Il dispositivo con le tenaglie farebbe pensare ai ferri per ostie, quindi, alle claustrali in questi ultimi decenni vocate alla preparazione di ostie, invece, era nelle case private e le profumate cialde, offerte nei ricevimenti nuziali. Un intreccio di tradizioni, gastronomia e arte, visibile e tangibile ancora nella meravigliosa città di Atri.

SANTINO VERNA