Pubblicato Martedì, 29 Settembre 2015
Scritto da Santino Verna

PENALIZZATO DALLA RIVALITA' CON  CITTA' S. ANGELO

SAN MICHELE ARCANGELO, POCO VENERATO IN ATRI

La recente mostra d’arte di Vincenzo Cordone, presso l’auditorium “S. Agostino” in Atri ha rispolverato il ricordo di S. Michele, principe delle milizie celesti, la cui festa cade il 29 settembre, in condominio con gli altri arcangeli, S. Gabriele e S. Raffaele. Tutti e tre rappresentano la triade dei servizi all’umanità: religioso (S. Raffaele), civile (S. Gabriele), militare (S. Michele).

 

Una cartina, nella mostra di Vincenzo, nella cappella di S. Massimo, descriveva la “via micaelica” dal Mont- Saint-Michel, in Francia, fino a Monte S. Angelo, sul Gargano, capitale mondiale dell’Arcangelo, e nel primo millennio cristiano, uno dei quattro luoghi principali della cristianità. Gli altri erano la Terra Santa, Roma, Santiago di Compostela. Per i Santuari mariani dobbiamo aspettare il 1294, anno della traslazione della S. Casa, con l’assistenza angelica, da Nazareth a Loreto, anche se la prima Basilica mariana dell’Occidente è quella Papale di S. Maria Maggiore in Roma.

La via di S. Michele, sfiorava Atri, perché toccava come sosta fondamentale Città S. Angelo, la cui Collegiata è dedicata al principe delle milizie del Cielo. Ma proprio perché legato al paese confinante, Atri e gli atriani non ebbero mai un felice rapporto con S. Michele. Si ripeteva, in forma minore, quanto avveniva tra Firenze e Siena, per il predominio in Toscana. Rivalità talmente grande da sostituire, nelle Annunciazioni, il giglio con la palma, perché il primo simbolo della città del Fiore.

Quando nel XIV secolo, Città S. Angelo fu elevata a Collegiata, l’aspirazione alla sede vescovile era forte. Il Vescovo di Penne e Atri, in un consistente periodo, divideva l’anno in tre quadrimestri: uno a Penne, uno in Atri, uno a Città S. Angelo. Ovviamente la divisione non era matematica, ma stava a significare che la città di S. Michele aveva diritto alla permanenza del Vescovo.

Nella seconda metà del XV sec. il Vescovo di Penne e Atri (o di Atri e Penne, se firmava un documento dalla città degli Acquaviva) Amico Bonamicizia, tentò il trasferimento della sede di Atri a Città S. Angelo. Questo non gli fu possibile e dovette dimettersi. Fu però sepolto nella Collegiata di S. Michele e ad Atri arrivò l’atriano Antonio Probi, uno dei Vescovi più celebri della storia di Penne e Atri, perché fu quello degli affreschi del Delitio. Città S. Angelo rimase con un pugno di mosche in mano e dovette accontentarsi di avere la terza chiesa della diocesi, la Collegiata che veniva immediatamente dopo le due Cattedrali. Nell’accezione popolare e sulle indicazioni topografiche S. Michele divenne la “Cattedrale” e in tempi recenti, nella Collegiata è stata eretta la cattedra dove siede l’Arcivescovo di Pescara-Penne quando celebra l’Eucarestia, situazione che si verificò tante volte in passato quando un paese desiderava la promozione a città, attraverso l’erezione della diocesi.

L’altare di S. Michele in Atri, fu realizzato nel transetto destro della chiesa di S. Reparata, con la munificenza di Giuseppina Fanese. Vi fu messa una riproduzione della più famosa tela dell’Arcangelo: quella custodita nella chiesa dell’Immacolata Concezione in Via Veneto a Roma. Opera della maturità di Guido Reni, fu realizzata negli anni 1635-36, mentre nella città eterna c’era la rivalità tra i Barberini e i Pamphili. Secondo la leggenda un porporato aveva rimproverato l’artista bolognese, e quest’ultimo per vendicarsi gli diede le fattezze del diavolo schiacciato da S. Michele.

Quando la tela fu esposta nella chiesa dei cappuccini, il Cardinale si riconobbe nel volto stempiato del maligno e riprese l’artista. Il Reni si difese, dicendo che il diavolo gli era apparso in sogno e non poteva far nulla se somigliava fisicamente al principe della Chiesa.

Nel 1936, l’altare di S. Michele, in S. Reparata divenne quello del Cristo deposto e dell’Addolorata, per via della riforma della processione del Venerdì Santo, la più sentita di Atri, voluta dall’Arcidiacono Raffaele Tini, per evitare sterili coreografie e tedianti ritardi. La riforma, comportò per la Cattedrale, l’acquisto del simulacro del Cristo deposto e della statua dell’Addolorata, appartenente alla famiglia Arlini che la custodiva nella cappella privata. Al posto della tela, fu ricavata la nicchia, mentre sotto la mensa dell’altare, fu messo il Cristo deposto, dallo struggente realismo anatomico.

Dopo i penultimi grandi restauri della Cattedrale (1954-64), per avere un luogo di raccoglimento per l’adorazione e la preghiera, l’antico altare di S. Michele divenne custodia eucaristica della Cattedrale e questo comportò la conservazione dell’uso del velo omerale per il sacro ministro che prelevava o riponeva la pisside con il SS. Sacramento, dato il non brevissimo tratto dall’altar maggiore di S. Maria all’attigua chiesa di S. Reparata.

La tela di S. Michele fu portata in sacrestia, ed essendo una riproduzione e di non enorme valore artistico, il trasferimento al museo capitolare non fu consigliato. Fu collocato dirimpetto all’altare dove i sacri ministri rivestono i paramenti. Il 27 ottobre 2002 vi rivestì i paramenti, prima della celebrazione eucaristica che siglava l’insediamento in Atri (anche se l’ingresso canonico vero e proprio c’era già stato otto giorni prima), l’Arcivescovo Vincenzo D’Addario, proveniente dal Gargano.

Un’altra tela di S. Michele, più modesta, si trova nell’oratorio della SS. Trinità, opera di Giuseppe Prepositi (XVIII sec.), allievo di Serafino Tamburelli, atriano purosangue. La tela si trovava, assieme al S. Raffaele, nella parete sinistra, perché erano gli angeli che accompagnavano i fedeli al Signore. L’ultimo restauro (2001) li ha collocati presso l’altar maggiore.

Nella tradizione popolare S. Michele protegge contro il demonio. Per designare una persona particolarmente cattiva si dice: “E’ quello che sta sotto S. Michele!”. Protettore dei commercianti per via della bilancia con cui pesa le anime (come si vede nell’affresco di S. Maria in Piano a Loreto Aprutino), gli è stato preferito in Atri, S. Antonio Abate, nella lotta contro il maligno, perché legato agli animali della campagna. Atri città agricola, e questo è un vanto, perché attraverso l’ubertosità delle campagne ha costruito un passato colmo di cultura e di civiltà.

SANTINO VERNA