Pubblicato Sabato, 01 Agosto 2015
Scritto da Nicola Cerquitelli

A 35 ANNI DALLA MORTE

GIORGIO AMENDOLA, LA POLITICA COME MISSIONE

Di solito, una litania che ascolto ripetere quotidianamente tra la gente è l’ accostamento di grandi politici del passato, quali per esempio Berlinguer o Moro, a una figura acidamente nota che sta dominando la cronaca locale atriana di questi giorni: Giorgio Almirante. Per di più proprio durante i 70 anni della liberazione dal fascismo. Ma, in questa sede, non ho francamente voglia di argomentare sulle vicende di un mandante di omicidi e cospiratore contro la vita della nostra Repubblica quale è stato Almirante.

Vorrei approfittare di questo spazio per ricordare un grande antifascista e protagonista del panorama politico della Prima Repubblica: Giorgio Amendola. Poco ricordato, nonostante ricorra proprio quest’ anno il 35esimo anniversario della sua morte. E sia chiaro. Almirante non è stato un “ grande “ del passato come Amendola. Non ci sto. La storia ha condannato Almirante, la storia ci ha dato il diritto di porre Amendola tra i padri della patria. Perché ha speso la sua carriera politica in difesa di quella Carta Costituzionale che Almirante avrebbe voluto volentieri stracciare. Figlio di Giovanni, liberale antifascista ucciso a bastonate dagli squadristi, Amendola decise di aderire al PCI dopo la morte del padre perché gli sembrava il partito che con più decisione conduceva la lotta al regime fascista. Organizzò in prima persona insurrezioni contro i soldati tedeschi ( attentato di via Rasella). Come Pietro Ingrao, anche Giorgio Amendola oserei definirlo uno strano comunista, ma la sua orbita di riflessione politica è stata sicuramente molto differente rispetto alle posizioni di Ingrao, più vicine all’ ortodossia marxista. Se Togliatti è stato definito il “ Migliore”, Amendola fu “ il migliorista”, termine spregiativo volto a definire la cosiddetta “destra” del PCI, ma che in realtà nasconde riflessioni politiche molto profonde. Sicuramente influenti sono state le posizioni liberali del padre e quei dibattiti sorti nel panorama dell’ antifascismo torinese ( in cui si è formato anche Norberto Bobbio) amalgamati attorno alla figura di Piero Gobetti. Se la virtù di ogni politico deve essere la capacità di iniziare sempre qualcosa di nuovo, senza tagliare le radici, perché le radici sono importanti, la virtù, o meglio, il sogno di Amendola fu la costruzione di un unico grande partito dei lavoratori che mettesse insieme le diverse anime della sinistra      ( PCI, PSI, PSDI, PSIUP), un nuovo partito né “ comunista, né socialdemocratico”. Progetto che si palesò all’ elezione a Presidente della Repubblica di Giuseppe Saragat, leader del PSDI. Ma che rimase solo utopia: il PCI infatti non volle mai portare definitivamente a compimento lo strappo da Mosca. I tempi non erano ancora maturi. Giorgio Amendola è stato anche “ un comunista europeista” :  sarà, infatti, con Altiero Spinelli uno dei più autorevoli ed impegnati europeisti italiani fra i politici della seconda generazione repubblicana. La sua azione politica è sempre stata improntata ad una sorta di calvinismo mediterraneo, teso a saldare le deboli strutture dell'economia e del costume del nostro Paese con quelle più operose e ordinate del Nord Europa. Amendola ha sempre creduto nel primato della politica come missione e, di conseguenza, allo spirito di servizio da rendere alla nazione. Ma in lui era presente, come dirigente del Pci, la costante preoccupazione di vedere scivolare il suo partito sul terreno dell'isolamento e del ribellismo rivoluzionario. Anche per questo la sua linea strategica seguì sempre due binari: mantenere un rapporto stretto con l'ala democratica della sinistra italiana, e ricomporre un largo fronte popolare fondato sull'unità antifascista e sindacale. Fu precettore politico di Giorgio Napolitano ed Emanuele Macaluso. Ha detto di lui Napolitano: “Amendola affrontò nel suo partito, da dirigente di primo piano, scontri, impopolarità, momenti di isolamento: mai pensò, fino alla fine, di distaccarsene, e ne visse a suo modo, pagandone il prezzo, le più gravi contraddizioni e cor53responsabilità per il legame con il movimento comunista mondiale». Il pensiero europeista di Amendola è da inserirsi quindi all’ interno del contesto del socialismo europeo di Willy Brandt, Olof Palme, François Mitterand, all’ interno di quel Welfare State caratterizzato da una collaborazione tra capitale e lavoro, con politiche di forte impronta sociale e rivolte alla teoria della piena occupazione e della crescita economica. La terza via di Amendola era quella tra comunismo e socialdemocrazia. La terza via in cui è andata paludandosi la sinistra italiana e, più in generale, il Partito Socialista Europeo è stata la cieca acquiescenza alle contraddizioni anarchiche del capitalismo finanziario. Amendola voleva, come egli stesso amava ripetere, riunificare le varie anime del socialismo e del comunismo italiano che, seppur con esperienze e dinamiche differenti, avevano tutte la stessa comune origine. Era solito dire ciò citando il paragone con un albero in cui tutti i diversi rami hanno le stesse comuni radici. Ora invece i vari Schulz, Hollande, Renzi, non hanno più intenzione di guardare a quel grande albero che è stata la storia della sinistra europea, con così tanti rami ma che hanno tutti la stessa radice, come diceva Amendola. Stanno cercando di tagliare i rami rappresentati da Siryza con Tsipras e Podemos con Iglesias. Il risultato sono sterpaglie che hanno bisogno di aggrapparsi ad un altro albero, quello del Partito Popolare Europeo. Le battaglie politiche di Amendola sono state morali, prima che ideologiche, scelte di vita politiche e allo stesso tempo umane, aventi come stella polare i diritti dei lavoratori e le libertà costituzionali.

Nicola Cerquitelli