Pubblicato Venerdì, 19 Giugno 2015
Scritto da Santino Verna

Ha lasciato nella nostra citta' l'impronta della sua umanita' e della sua cultura

RICORDIAMO GIUSEPPINO MINCIONE, UMANISTA ABRUZZESE

La sera del 17 giugno ha incontrato sorella morte, presso l’ospedale “Spirito Santo” di Pescara, assistito dai familiari, il Prof. Giuseppino Mincione, docente universitario e insigne umanista.

Era nato a Villa Bozza di Montefino, il 22 ottobre 1922, da Pietro e Antonietta Di Virgilio, e poiché aveva talento, frequentò il Seminario di Penne e poi quello Regionale di Chieti, avendo tra i compagni Mons. Giovanni Gravelli, poi Nunzio Apostolico e prematuramente scomparso. Nel capoluogo vestino e in quello marrucino subito fu segnalato come grande latinista. Uscito dal Seminario, proseguì gli studi all’Università di Roma e si laureò con ottimo profitto in lettere classiche.

Nel 1948 sposò Adriana Corradi, di Castiglione Messer Raimondo. Hanno avuto due figli Cinzia, funzionaria del catasto di Pescara da meno di un anno in pensione ed Elpidio, medico e docente universitario a Modena. Entrambi i nomi dei figli ricordano l’amore per la classicità del Professore. La nascita del figlio Elpidio fu salutata dal disegno sulla lavagna della scuola di Atri di Bruno Cichetti raffigurante una cicogna, corredata da una menzione virgiliana del Preside Achille Ronda. Il Professore subito ringraziò con un componimento latino che solo uno come lui sapeva fare.

Per 16 anni il Prof. Mincione fu residente in Atri con la famiglia, prima nel quarto Capo d’Atri e poi in un moderno appartamento nei pressi della villa comunale. Per la cittadina di adozione compose due canzonette “Cambane de Atre”, con la musica di Don Bruno Trubiani, allora Vicario Curato Perpetuo di S. Maria nella Cattedrale e “La gazzose de lu squatrone”, questa volta con le note di Antonio Di Jorio che non ha bisogno di presentazione. Il componimento sulla rinfrescante bevanda fu illustrato da Massimo Di Febbo, molto bravo nel disegno.

Trasferitosi a Pescara, a Piazza Martiri Pennesi, ad un tiro di schioppo dalla stazione ferroviaria, il Professore continuò l’insegnamento del latino nelle scuole superiori statali e fu preside dello scientifico. Una parentesi come dirigente scolastico la svolse a Pontedera. Fu docente presso il neonato ateneo abruzzese e ottenne riconoscimenti e premi per la latinità in tutto il mondo, a partire dal premio ricevuto in Vaticano nel 1966 dal Beato Paolo VI. Fu amico di Leopold Senghor, Presidente del Senegal, perché accomunati dall’amore per la classicità.  Tra i due ci fu un rapporto epistolare in francese. Il poeta africano si associò con un vibrante telegramma al Congresso Eucaristico Nazionale di Pescara, concluso da Papa Montini.

Collocato in pensione, il Prof. Mincione, fu a Pescara, Rettore dell’Università della Terza Età e cominciò la seconda giovinezza umanistica con l’attenzione alle tradizioni popolari abruzzesi. Continuò a scrivere canzonette, con la musica del suo amico, Prof. Antonio Piovano, di Città S. Angelo,  Preside del Liceo musicale pareggiato “G. Braga” di Teramo e docente al Conservatorio “L.D’Annunzio” di Pescara, e tra queste va ricordata la rappresentazione del S. Antonio Abate. Sempre con il docente civitarese ha realizzato un canzoniere abruzzese, tenendo presente anche la gastronomia.

Ha raccolto i suoi tanti distici nel volume “Stilus lapidarius”, dove si ricostruisce, attraverso la lingua di Cicerone, la storia dell’Abruzzo nella seconda metà del XX secolo. Celebre il distico, per l’elezione a Vescovo Coadiutore di Ascoli Satriano e Cerignola, nel 1986, Mons. Vincenzo D’Addario, poi rientrato in patria come Arcivescovo di Teramo-Atri.

Ha pure realizzato inni per i Santi d’Abruzzo e c’era il progetto, sempre con il binomio Mincione-Piovano, per un oratorio sul Beato Rodolfo. Sarebbe stato l’omaggio di un figlio di adozione di Atri, peraltro compositore dei versi in latino sulla tomba del Canonico Luigi Illuminati, all’ingresso del camposanto monumentale di Atri. Il progetto non è stato più realizzato, e il Beato Rodolfo ancora viene sufficientemente festeggiato nella città che lo vide nascere nel 1550 e ne colse i primi segni di vocazione religiosa e missionaria nell’ospizio di S. Liberatore.

Legato sempre alla sua Villa Bozza che chiamava affettuosamente “Villa Beotia”, a metà degli anni ’90 caldeggiò con l’allora Parroco Don Remo Chioditti, il gemellaggio, nel nome del Patrono di entrambe le comunità S. Benigno, con Todi. Il sisma dal settembre ’97 alla primavera successiva, non rese possibile l’iniziativa, avvantaggiata dallo studio del Prof. Mincione su un umanista quasi abruzzese, docente all’Università di Perugia, Giovan Battista Valentini, detto il “Cantalicio”, dal paese natale, Vescovo di Penne e Atri. A Villa Bozza era richiamato dall’affetto dei genitori, del fratello Ettore e della cognata Guglielmina Ranalli. E dall’amico e allievo, Prof. Nicola Cesare Occhiocupo, per tanti anni Magnifico Rettore dell’Università di Parma.

Con un gruppo di umanisti abruzzesi, il Prof. Mincione, organizzava negli anni ’80 e ’90 le “peregrinationes” in Avvento e Quaresima, in tante chiese antiche della regione. Vi partecipavano il Dott. Gaetano D’Aristotile, storico Presidente dell’Unitalsi e il Dott. Gaetano Lauri, medico vissuto ad Atri durante la fanciullezza. La spiegazione artistica era affidata al Prof. Restituito Ciglia, il cui nipote Don Andrea, un mese fa è stato ordinato sacerdote, dopo diversi anni di formazione in Italia e all’estero presso il Seminario “Redemptoris Mater”. Il Prof. Mincione influì nella scelta di Atri per l’evento annuale. Le Sante Messe in latino, con la presidenza di Don Gaetano Meaolo e Don Antonio Grumelli, furono celebrate in Cattedrale a mezzogiorno, a S. Nicola e a S. Giovanni, con il plauso del Dott. Lauri che rimaneva incantato davanti alla porta di S. Domenico.

Nel 2004, dopo aver festeggiato le nozze d’oro, perse l’adorata moglie Adriana, donna di grande fede e di sapiente umanità. Per tre volte è diventato bisnonno, di Maria Cristina, Francesco Paolo, Noemi della quale attendeva il ritorno all’inizio dell’estate dalla Lombardia.

Ormai malato e segnato dagli anni, il Prof. Mincione continuava a studiare nello studio di casa, assistito dai suoi cari, e visitato dai cari amici Alfonso Polsoni e Vincenzo Di Muzio, suo coetaneo. Ti riceveva in salotto, con la compagnia della bombola d’ossigeno o in tinello, con il televisore discretamente acceso con il quale seguiva i programmi religiosi e gli eventi del mondo. L’ultima fatica letteraria lo studio su Francesco Paolo Rapagnetta, papà di Gabriele D’Annunzio (aveva assunto il cognome dello zio, perché non gli piaceva quello paterno, poco consono per un poeta).

Il docente pescarese ha messo in risalto il genitore dell’Orbo Veggente, perché quasi tutti gli scrittori hanno messo in evidenza la madre, Luisa De Benedictis, forse l’unica donna del Vate. Le altre furono solo per costruire il personaggio. A differenza di Giuseppe Ungaretti che ne fu l’inverso sotto il profilo delle relazioni amorose. Il Prof. Mincione sottolineava che senza Francesco Paolo Rapagnetta, il trageda di Pescara sarebbe stato un semplice professionista di provincia, un pallido impiegato di una città che non sarebbe diventata metropoli.

Il Prof. Mincione era uomo di grande fede. Nella sua camera da letto lo vegliava una piccola statua di S. Giuseppe, vinta in una lotteria del Seminario. E il giorno di S. Giuseppe era una piccola festa in casa sua, con la ricezione delle telefonate e la presenza degli amici in un cenacolo michettiano del terzo millennio che sembra aver dimenticato la bellezza degli studi classici e umanistici. Le esequie sono state celebrate nella chiesa del Sacro Cuore in Pescara e la salma riposa nella città dannunziana.

SANTINO VERNA