Pubblicato Giovedì, 04 Giugno 2015
Scritto da Alfio Carta

UN VIAGGIO IMPEGNATIVO E AFFASCINANTE ALLE RADICI DELLA NOSTRA CIVILTA'
 2° PARTE

L'ENEIDE DI VIRGILIO: LA LEGGENDA DIVENTA STORIA E ACCOMPAGNA VERSO IL FUTURO

La costruzione di un passato non appartiene alla fantascienza: si verifica le volte che un popolo nuovo, uscito dall’oscurità e divenuto protagonista, ha voluto proiettare la sua immagine attuale  in un passato che fosse degno del presente, riscrivendo quindi la storia, come l’oscuro funzionario de   “Ministero della Verità“ del romanzo di Orwell. Logico dunque che la comunità romana ricercasse la sua identità  in un passato che fosse  prefigurazione ed auspicio della futura grandezza  della missione imperiale, per cui la rovina di Troia, la fondazione di Cartagine e la nascita di Roma sono fatti grandiosi ricongiunti in una sola prospettiva di idealità e realtà, che innalza insieme le memorie venerande e la gloria fulgida. Così si esprimeva Tito Livio nella introduzione alla sua Storia: ”Datur haec venia antiquitati ut miscendo humana divinis primordia urbium angusti orafa ciat; et  si cui licere oportet consecrare origines suas et  at deos referre auctores, ea belli gloria est populo  Romano” che tradotto dice: “È questa una libertà che si  concede agli  antichi: nobilitare l’origine delle città mescolando l’umano al divino; se c’è poi un popolo a cui è giusto permettere di render sacre le proprie origini e far risalire agli dèi i suoi fondatori, questo è il popolo  romano”.

E chi poteva meglio di Virgilio intrecciare il fato,i fati degliDei, i fati di  Giove; quel mistero imperscrutabile che si manifesta nella sua efficacia di fatto, come forza irresistibile e mèta cui si dirige l’azione, quel fato che vuole l’accoglimento pacifico di Enea in Italia, dove porterà le reliquie sacre della patria distrutta per ivi fondare la romana gente. Pare che Giove sia l’interprete e l’esecutore del fato e di quell’insieme delle realtà che l’avvenire deve produrre e cioè la fondazione di Roma e l’organizzazione dell’impero, condizionato dall’arrivo in Italia e dalla vittoria di   Enea,  l’uomo predestinato ad un’opera così grande che ha ben appreso il monito della Sibilla: “Tu non   cedere a’ mali, anzi più fiero li affronta, per la via che  tua fortuna ti darà “ ( En.VI ).

Nasce la leggenda: l’Eneide nelle sue due parti viene ad essere l’Iliade e l’Odissea insieme dei Romani: l’una col miraggio dell’Italia fuggente conduce naturalmente all’altra  nell’Italia raggiunta.   Nasce la leggenda che si fa  storia  ed  è tutta concepita nel grande poema che come dice  il nome e come Dante riassume: ”canta di quel giusto figliol d’Anchise, che venne da Troia poi ch’il superbo  Ilion fu combusto“(canta l’eroe guerriero che le reliquie sacre della patria distrutta reca in Italia  per quivi fondare la romana gente).E come notò il Manzoni, l’argomento unisce “la feconda libertà  della favola e il vivo interesse della storia“; favola che si riattacca alla più famosa delle tradizioni leggendarie, immortalata da Omero. L’Italia e Roma dalle lontane origini al culmine dell’ impero.  Un travagliato percorso, leggendario, mitico e storico, la favola e la storia, nella consacrazione l’una dell’altra,abilmente e solennemente annunciata nella protasi del Poema. “L’armi canto e l’eroe sospinto dal fato, ed alle spiagge la vinie sospinto da forza divina per l’ira tenace di Giunone crudele…finchè non fondò una città donde la stirpe latina (En. I, 1-7).

Del resto Virgilio oltre che coetaneo era soprattutto molto vicino ad Augusto che fu ben consapevole del lungo viaggio di Virgilio in Grecia e nell’Asia Minore, proprio i luoghi  dove si svolge molto della prima parte del poema, quasi che Augusto ne fosse suggeritore ed ispiratore.Ma  solo Virgilio poteva concepire un’opera degna dell’alto scopo che si prefiggeva su un divino  eroe  che potesse  costituire il passato remoto di  Roma.

Così nasce l’Eneide che narra la leggenda dei progenitori di Roma, armonizzandola coi fatti e con gli spiriti della storia Romana e spargendola di solenni e luminosi presagi, con la appena citata protasi abile e solenne, in cui già s’intravvede la feconda libertà della favola ed il vivo interesse della  storia e che per la sua mirabile bellezza voglio ripetere: “L’armi canto e l’eroe sospinto dal fato, ed alle spiagge lavinie sospinto da forza divina per l’ira tenace di Giunone crudele…finchè non fondò una città donde la stirpe latina (En. I, 1-7).

Sensibilità, religiosità e patriottismo danno a Virgilio un modo tutto suo e soltanto suo  di concepire e trattare i caratteri,di considerare i fatti e di presentare e sentire il paesaggio stesso.E  poi  lo  bello stile,quello tanto ammirato da Manzoni che l’analizzò magistralmente (quale virtù di stile poetico può immaginarsi maggior della sua?). E con lo stile la lingua; poiché Virgilio(Dante lo afferma) “ mostrò ciò che potea la lingua nostra“  (Purg., VII. 17 ) “nostra“, cioè il latino, la lingua antica di Roma, il nobile suggello nazionale della stirpe, che si continua trasformato nell’italiano: Italia allora, Italia  ora. I grandi poeti hanno di queste verità semplici e profonde.

E non è anche e solo tutto questo l’Eneide, monumento  epico-storico  celebrativo delle glorie del popolo romano e, nel suo culmine, l’esaltazione di Ottaviano.Vi vengono evocate immagini grandiose ed indecifrabili  cariche  di quella  forza straordinaria che solo il Mito possiede.  Quel misterioso ed imperscrutabile intreccio delfato, la suprema volontà degli  Dei che governa tutti gli eventi. Era volontà degli  Dei che Troia  cadesse, ma che Enea e i suoi fossero salvati per fondare al di là dei mari un nuovo regno, la costruzione imperitura dell’imperium romanum: è questo il racconto dell’“Iliupersis“ virgiliana. Minerva ha attratto i Troiani nella rovina;sono gli Dei stessi a distruggere Pergamo:questo è  quanto Venere fa vedere a suo figlio per indurlo alla rassegnazione,   affidandogli la salvezza dei Lari di Troia  secondo le istruzioni divine e spronandolo ad imbarcarsi  perseguire le vicende che il fato gli ha assegnato, l’insieme delle realtà che gli Dei vogliono.  Tutte   le azioni di Enea  si svolgono in obbedienza ad un ordine divino  con  instancabile sottomissione,  anche quando col cuore insanguinato egli  abbandona Didone su reciso ammonimento di Giove che alla specifica bisogna, voluta dal destino,incarica a ciòMercurio: Enea non può  tradire la propria missione, deve seguire il destino dell’arrivo in Italia per la futura grandezza dell’Italia stessa  e  “ di malcuore si parte“ (VI, 595 ),rimuovendo così,come il fato vuole, il più grave ostacolo all’andare: nemmeno la vendicativa e tragica imprecazione della Regina abbandonata, che nel gettarsi sul rogo, maledice ed auspica l’avvento di un vendicatore del suo dolore, anche per amor di Cartagine, la futura implacabile rivale di Roma nella contesa per l’impero:“Ex oria realiquis nostris ex ossibus  ultor “ (che nasca un giorno dalle mie ossa, dalle mie ceneriun vendicatore – che poi sarà Annibale) i fati degli Dei, di Giove. Questa la mirabile costruzione mitologica virgiliana! che alla domanda  “quid  est  boni  viri?” Virgilio risponde con le stesse parole di  Seneca: “praebere  se  fato“quale esigenza connaturale alla mentalità Italia stoica e romana del “sequideum“.

Ecco che la leggenda si confonde in un intreccio inestricabile con la mitologia  per tutto ed in tutto l’insieme delle realtà che l’avvenire deve produrre per disegno del fato, per il volere degli  Dei.  Sì, proprio il fato degli Dei e del sommoGiove, quella  legge  suprema che regola l’ordine  di tutte le cose, il fato che deve comunque essere obbedito cercando indicazioni  anche dai responsi oltre che dagli Dei.Ed  Enea mostra di avere bene appreso ed applicato il monito della Sibilla, nel suo approdo a Cuma  (En.,VI,123 segg.):“Tu  non  cedere  a’mali,  anzi più fiero li  affronta, per la via che tua fortuna ti darà“. Giunone, la forza ostile che muove gli antagonismi e gli accumula ostacoli contro, con sentimento opposto, cioè per  amore di Cartagine, la futura rivale di  Roma nella contesa dell’Impero.In Italia gli sommuove contro Turno,il Lazio“flecteresi  nequeosuperos Acheronta movebo”(se il ciel non posso, moverò l’inferno. VII. 396). Ma tutto è invano contro Enea,  anche Giunone alla fine cede: “mi ritraggo, sì, lascio le pugne  e  le detesto“ (XII, 1022 segg. ). E poi Venere, maternamente  sta in ansia per lui e ne sostiene la causa in cielo ( En. I, 285 segg. -  X, 23 segg.), in Italia (VIII, 764 segg.) ed in tante altre situazioni  come ad esempio l’episodio delle armi vulcani e quando nella notte Venere va lusinghiera a Vulcano, l’Ignipotente, e ne implora, contro le arti di Giunone e contro le armi latine, un’armatura per il Suo Enea, perché “del Suo   figlio l’accora il duro affanno“. Così  le officine  eolie ed i Ciclopi, gli enormi ferrai di Vulcano, la fabbricano scolpendovi, ed effigiandovi, come voleva l’Ignipotente,il Dio del Fuoco“conscio deivati, dell’avvenir presago, tutta la storia ed i trionfi Romani e la lunga ivi d’Ascanio discendenza“e vi era  scolpita anche la scena della  Lupa che teneramente volge il capo a guardare i gemelli attaccati alle sue mammelle.  

Tutto questo è l’Eneide, un’opera unica e sovrana,così ricca di patos, di geniale inventiva,complessa di elementi che fece di Virgilio, per eccellenza tra i latini, il poeta nazionale, il poeta  dell’Italia e della universalità di Roma. Poeta che lo stesso Omero, a dir di Dante, invita  ad onorare      “Onorate  l’altissimo poeta: l’ombra sua torna, ch’era  dipartita “  (Inf.IV  80 ).

 Presentirono  i contemporanei il valore di essa:ne diede ai primi saggi l’annuncio entusiastico  Properzio: “qualche cosa sua nascendo maggiore dell’Iliade“;Augusto, anche lontano dall’Italia  seguiva i progressi del lavoro con incitamenti. L’Eneide canta l’eroe pio e generoso che le reliquie sacre della patria distrutta reca in Italia per  “fondare la RomanaGente“.

La materia, invero, già trattata da altri, era diventata ormai tradizione ufficialmente accolta.  Poeti e storici greci e latini  avevano ricongiunto Enea e il culto di Venere alla Sicilia e all’Italia, facendo che dall’eroe fossero portati nel Lazio, a Lavinio, da lui fondata, i Penati ed il  Palladio di Troia,i poeti epici Nevio ed Ennio, e poi Catone  nelle  “Origini” (di cui sono pervenuti scarsi frammenti) avevano, con versioni diverse, consacrato le linee principali della narrazione, ma la virtù creativa  del Suo genio fuse gli elementi che i predecessori erano riusciti solo ad accostare o sovrapporre.

ALFIO CARTA  (continua)