Pubblicato Lunedì, 23 Febbraio 2015
Scritto da Nicola Dell'Arena

ATRI: FURTI DI IERI E DI OGGI

L'AMAREZZA DI NON SENTIRSI SICURI IN CASA...

Ho letto su facebook dei numerosi furti che sono stati effettuati ad Atri. C’è un Vincenzo che oltre ad essere sempre arrabbiato questa volta è anche sconfortato e deluso.  Ha dato la sua proposta: “calibro 45 e lupara in tutte le case”. Da facebook si vede che non solo Vincenzo, ma molti atriani sono sconfortati, preoccupati e pieni di paura per quello che è successo o potrà ancora succedere.

Io sto con Tacchio, ho detto subito dopo l’uccisione dello zingaro. Dentro di me ho detto 1, 10,  100, 1000 Tacchio in Italia perché ormai lo stato è alla mercé dei delinquenti e non delle persone oneste e serie.

Come molti italiani anch’io sono stufo del pietismo, del buonismo, del perdonismo a tutti i costi, del moralismo a senso unico, della società che sbaglia e non dell’individuo che ruba o uccide, della magistratura che non condanna i delinquenti, delle carceri svuotate con amnistie e indulti. Tacchio invece di avere la medaglia d’oro come merita, passerà i guai e noi dobbiamo pagare profumatamente i parenti di un delinquente incallito.

Non è possibile continuare così. Adesso basta.

Dei furti di Atri bisogna verificare se sono fatti per necessità o per droga, ma detto ciò non giustifico nessuno delle due cause. E mentre ad Atri avvengono questi furti sono usciti i dati statistici i quali dicono che i furti in casa sono aumentati, negli ultimi anni, del 150%.

La sociologia già inizia a dire che la delinquenza aumenta nei periodi di crisi ma non è vero niente. Ad Atri negli anni ’50 c’era la povertà più assoluta e nera eppure tutti i furti di adesso non accadevano. I nostri genitori, insieme alla chiesa, ci inculcavano il rispetto del comandamento “non rubare ” e nessuno rubava.

Davanti alla mia  casa c’era  il negozio di generi  alimentari di  Giulio Iezzi soprannominato “cucciulene”. Il soprannome era suo e non della famiglia e gli fu dato dagli amici non per la testa grande ma perché era giudicato “nu’ nduntite”,  l’ho scritto in dialetto perché si capisce meglio dell’italiano. Mai  un soprannome fu così sbagliato, per me ragazzino Giulio era un piccolo re Mida che tutto quello che toccava diventava oro e per tutto il patrimonio che ha creato.  Era aiutato dalla moglie e dai figli soprattutto dalle donne Giuseppina e Mariannina che già all’età di 10 anni stavano nel negozio. Giulio era burbero, ma per necessità del lavoro, non regalava niente a nessuno, se qualche pochissima cosa hanno avuto le mie sorelle in tanti anni si doveva a Mariannina, perché Lina le dava dei consigli e l’aiutava in matematica.

Negli anni di permanenza a Capo d’Atri Giulio ha avuto 5 furti, la mattina alla sveglia si passava la voce “a it a ruba da Giulio”. Dei 5 furti forse uno solo c’è stato veramente, per gli  altri quattro nutro fortissimi dubbi che siano avvenuti perché nessuno dei miei familiari, la finestra della era di fronte alla porta del negozio, hanno visto e sentito nulla, io naturalmente dormivo come un ghiro. A bassa voce si parlava di chi era stato, di cui non dico i nomi per i forti dubbi che ho, erano tre uomini, che abitavano nelle rue di S. Rocco, zona più povera della povera Atri degli anni cinquanta. Come si vede ben misera cosa rispetto a quello che è accaduto in questi giorni e che accade ogni giorno in Italia.

Alla proposta di Vincenzo ci penso e ci ripenso, non da adesso, è molto attraente ma non si può accoglierla. Bisogna ritornare alla cultura degli anni cinquanta da parte di tutti: cittadini e stato. Bisogna che lo stato si tolga di dosso il vestito, che gli è stato appiccicato, del perbenismo e del perdonismo e condanni con durezza e senza codardia la delinquenza e la sopraffazione. Non bisogna giustificare e perdonare, né il piccolo delinquente ma neanche il grande. Non bisogna aver paura e rassegnarsi, il mondo cambia sempre e bisogna credere che il bene e il meglio esiste.

Nicola Dell’Arena