Pubblicato Mercoledì, 07 Febbraio 2024
Scritto da Santino Verna

ANTONIO PAOLUCCI, IL SOVRINTENDENTE D’ITALIA CHE AMAVA ATRI

UNA VITA A SERVIZIO DELLA CULTURA E DELLA BELLEZZA

Ha esalato l’ultimo respiro il 4 febbraio scorso, Antonio Paolucci, ex-Ministro dei Beni Culturali del governo Dini. La sua opera rimane legata soprattutto al ripristino della Basilica di S. Francesco, della quale fu commissario, dopo il sisma dell’autunno 1997. Grazie anche a lui la casa madre del francescanesimo tornò a vivere, quattro settimane prima dell’apertura del Grande Giubileo del 2000. Desiderio dell’insigne storico dell’arte era il ripristino la notte di Natale, e la Basilica fu riaperta nella prima domenica di Avvento.

Antonio Paolucci era nato a Rimini nel 1939. La famiglia era originaria di Urbino, e il papà era antiquario. La passione della storia dell’arte la sentì sin dalla primissima infanzia, alimentata da una città d’arte come Rimini, in questi ultimi tempi trasformata in “divertimentificio”. I genitori volevano che il figlio diventasse medico o avvocato, come avveniva per tanti figli maschi proiettati nel mondo delle professioni, ma Antonio volle diventare storico dell’arte.

Iscritto all’Università di Firenze, ne usciva brillantemente laureato nel 1964. Suo maestro fu Roberto Longhi e ne fu uno degli ultimi allievi, in ordine di tempo. La storia dell’arte era divisa all’epoca in due correnti: longhiani e venturiani. I primi erano legati al maestro emiliano, nato casualmente nelle Langhe di Cesare Pavese, ed erano considerati un po' reazionari, perché Longhi era funzionario durante il ventennio, pur non condividendo l’ideologia totalitaria. I venturiani erano più di sinistra (se si può usare questo termine ormai in soffitta), perché Lionello Venturi non aveva prestato giuramento al regime e per questo naturale fu l’emigrazione transoceanica. Il filo spinato fu superato da pochi, tra i quali Alessandro Marabottini, docente all’Università degli Studi di Perugia, dopo un fecondo periodo a Messina.

Il Prof. Paolucci non poteva essere incasellato politicamente, perché metteva il profondo sapere a servizio del bene comune e della bellezza. Entrò subito nel mondo dei beni culturali e ha avuto la gioia di assistere alla nascita del Ministero per i Beni Culturali, voluto da Giovanni Spadolini. Ha lavorato a Venezia, Verona, Mantova e soprattutto a Firenze, eletta a città di adozione. Poteva essere avvicinato nella città di Dante, mentre andava sul velocipede, con il mezzo toscano in bocca. Erano in pochi a fermarlo, quasi nessuno a chiedergli l’autografo, un po' come per Mario Luzi, perché negli anni ’90, quando Paolucci raggiunge l’apice della carriera, brillava l’astro di Batistuta. Il docente urbinate non era appassionato di calcio, e preferiva cinema di qualità in televisione.

Esperto del Rinascimento, Paolucci divenne divulgatore di storia dell’arte, su Sat 2000, poi TV 2000. Grazie a lui abbiamo scoperto diverse opere presenti in Italia, non solo nelle grandi città come Roma, Firenze e Venezia, ma anche in piccoli borghi come Bevagna e Pienza. In occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, partecipò ad una rassegna di opere d’arte, archeologiche e figurative, su Radio 3, insieme ad esperti d’arte del calibro di Marco Carminati e Achille Bonito Oliva. Ma anche di storici emergenti come Andrea De Marchi, Marco Collareta e Pierpaolo Pancotto.

Nel 2007 Benedetto XVI nominava Antonio Paolucci direttore dei Musei Vaticani, segno di profonda attenzione di Papa Ratzinger per i tesori storico-artistici. Pochi mesi prima ne aveva ribadito l’importanza, nella prima visita da Sommo Pontefice, in Assisi. Il Prof. Paolucci visitava, a porte chiuse, diverse volte i Musei del Papa e si soffermava sulle tante opere d’arte, dalle più celebrate a quelle sottovalutate. Diceva che alla Sistina non bisogna guardare soltanto Michelangelo, ma pure gli altri autori presenti nel sacro edificio, legato in prima linea al ministero petrino. Grazie a Paolucci i Musei Vaticani sono diventati famosi come il Louvre e gli Uffizi.

Una delle ultime opere, l’impegno per il ripristino della Basilica di S. Benedetto, segnata dal terremoto del Centro Italia del secondo semestre 2016. Un sigillo della lunga carriera artistica. Dopo il Santo Poverello Assisi, dove nasce la pittura europea, e meno attenzionata dai pellegrinaggi.

Da storico dell’arte, conosceva la città di Atri. Entrare e sostare in Cattedrale con lui sarebbe stato un godimento degli occhi e dell’anima, perché sapeva cogliere reconditi particolari di uno degli edifici sacri più importanti del Medio Adriatico. Avrebbe ritrovato le Marche delle radici, con le opere del Maestro d’Offida e la formazione di Andrea Delitio, operante a Norcia, nella bottega degli Sparapane. E questo solo per parlare degli affreschi, chiodo fisso di qualche storico d’arte con l’intento di riportare la Basilica di S. Maria all’impossibile antico splendore.

Intervistato dalla Dott.ssa Maria Rosaria La Morgia, per la RAI di Pescara, negli anni ’90, a proposito dell’Abbazia di S. Clemente a Casauria, uno dei simboli dell’Abruzzo, alter ego di S. Maria di Collemaggio, e quasi a metà strada tra l’Abruzzo medioevale e quello avveniristico, a microfono spento disse: “Non dimentichiamo il ciclo di Andrea Delitio nella Cattedrale di Atri!”.

Questo era Antonio Paolucci, difensore di Firenze dall’intento della disneyzzazione, a completa fruizione del turismo di massa, ben diversa da quella Firenze degli anni ’50 e ’60, cantata da Riccardo Marasco, calabrese adottato dalla capitale italiana dell’arte. Le esequie sono state celebrate nella Basilica della SS. Annunziata, ricordata chissà quante volte dal Professore, mentre entrava nei meandri di una disciplina articolata e complessa, ahinoi bistrattata e accantonata, come la storia dell’arte.

SANTINO VERNA