Pubblicato Martedì, 07 Novembre 2023
Scritto da Santino Verna

CENTENARIO DELLA NASCITA DI MONSIGNOR PASQUALE MACCHI.

LO STORICO SEGRETARIO DEL PAPA PAOLO VI

Il 9 novembre 1923 nasceva a Varese, Mons. Pasquale Macchi, segretario particolare di San Paolo VI. Nato in una famiglia numerosa, dove il papà era sarto, entrò giovanissimo in Seminario ed uscì Sacerdote, ordinato dall’allora Arcivescovo di Milano, Card. Alfredo Schuster, poi beatificato. Licenziato in teologia e laureato in lettere moderne all’Università Cattolica del Sacro Cuore, Don Pasquale fu sempre vicino al mondo del lavoro, dei Rom e degli intellettuali.

Quando l’allora Mons. Giovan Battista Montini fu nominato da Pio XII Arcivescovo di Milano, fu necessario il ministero del segretario. Al novello Arcivescovo fu segnalato il giovane sacerdote varesino, grandissimo lavoratore, molto importante in quel momento storico, quando Milano e l’hinterland accoglievano quotidianamente tantissimi lavoratori dall’Italia meridionale. Don Pasquale fu collaboratore e non esecutore, come amava dire.

Quando il 21 giugno 1963 il Card. Montini fu eletto Papa, assumendo il nome di Paolo VI, Don Pasquale lo seguì in Vaticano. Era appena nata la figura del segretario particolare del Pontefice, con Mons. Loris Francesco Capovilla, strettissimo collaboratore di Papa Giovanni. Vi era solo il precedente di Mons. Carlo Confalonieri, segretario di Pio XI. Don Pasquale divenne Prelato il 13 giugno 1964 e collaboratore della Segreteria di Stato.

Fu intermediario delle relazioni di Papa Montini con gli artisti. Anche grazie a lui in Vaticano nacque la collezione di arte contemporanea, segno visibile e tangibile della riconciliazione della Chiesa con il mondo dell’arte. Nelle stanze del Papa fu costruita la cappella privata, con l’intervento di maestri contemporanei come Luigi Filocamo, Enrico Manfrini, Trento Longaretti e Lello Scorzelli. Quest’ultimo divenne famoso perché autore della ferula (pastorale), ripristinata come insegna papale da S. Paolo VI, ovvero il pastorale terminante non con il riccio dove sono presenti l’agnello e il serpente, simbolo del bene vittorioso sul male, ma con il Crocifisso.

Mons. Macchi fu instancabile organizzatore dei viaggi apostolici, a partire dalla Terra Santa, pochi mesi dopo l’inizio del ministero petrino di Papa Montini. Fu l’artefice della S. Messa del Papa, nel 1968, con i lavoratori, la notte di Natale, all’Italsider di Taranto. Fu vicino a S. Paolo VI durante l’attentato in Colombia, dove gli si presentò un sicario in abito scuro.

Dopo la dipartita di S. Paolo VI, nella luce della Trasfigurazione del 1978, Don Pasquale tornò nella diocesi ambrosiana. Fu nominato Arciprete del Sacro Monte di Varese, dove spesso accoglieva, per periodi di riposo, P. Carlo Cremona, uno dei pionieri delle comunicazioni sociali, e anche lui vicino al mondo dell’arte, con la galleria di S. Maria del Popolo. Nella veste di Arciprete, nel 1984, accolse S. Giovanni Paolo II pellegrino nei luoghi del Santo del quale portava il nome, S. Carlo Borromeo.

Dopo aver rinunciato a diverse sedi vescovili, il 10 dicembre 1988, festa della Traslazione della S. Casa, Mons. Macchi veniva nominato Arcivescovo-Prelato di Loreto. S. Giovanni Paolo II volle dare continuità, nel segno del Concilio Vaticano II, al Santuario di Loreto, dove in quel momento era Arcivescovo, Mons. Capovilla, anche se formalmente aveva la sede fittizia di Mesembria, la stessa di Papa Giovanni, quando era in servizio diplomatico in Bulgaria, Turchia e Francia.

Il 6 gennaio dell’anno seguente, veniva consacrato Vescovo, nella Basilica Vaticana, da S. Giovanni Paolo II, secondo la consuetudine del Papa polacco di conferire l’episcopato nella solennità dell’Epifania del Signore, quando i Magi, dopo l’adorazione a Gesù Bambino, si dirigono nel mondo, per annunciare il Vangelo. L’ingresso alla S. Casa porta la data del 4 marzo, vigilia della IVa di Quaresima, quell’anno con il Vangelo del Padre Misericordioso.

Mons. Macchi proseguì il dialogo con l’arte, rinnovando il presbiterio della Basilica. Chiamò Floriano Bodini, uno dei protagonisti del rinnovamento conciliare, anche lui lombardo. L’altare provvisorio rimase per le celebrazioni in piazza, soprattutto con la partecipazioni degli ammalati, assistiti dall’Unitalsi. L’Arcivescovo Macchi accolse due volte S. Giovanni Paolo II a Loreto, nel 1994, per l’VIII centenario della Traslazione, con la partecipazione di tutti i Vescovi d’Italia, e nel 1995, per l’incontro dei giovani a Montorso. Lavorò, all’interno della CEI, per la pastorale del turismo e dello sport.

Nel 1996, per meglio dedicarsi all’opera del suo Maestro, in occasione del primo centenario della nascita, chiese e ottenne le dimissioni da Arcivescovo-Prelato di Loreto, e da emerito ebbe occasione di conoscere il piccolo Carlo Acutis. Grazie al suo consenso il futuro Beato, ebbe la possibilità di ricevere l’Eucarestia a soli 7 anni. Il Beato Carlo è un Santo dell’Eucarestia e può esser definito il “S. Tarcisio dell’epoca contemporanea”.

Mons. Pasquale Macchi era descritto come Cardinale in un futuro Concistoro. Avrebbe ricevuto la porpora insieme a Mons. Capovilla, come omaggio di S. Giovanni Paolo II, alla memoria dei due predecessori, dei quali aveva assunto il nome da Vicario di Cristo. La porpora arrivò solo per Mons. Capovilla, ormai centenario, da Papa Francesco, anche se non raggiunse la Basilica Vaticana.

Pastore di grande mitezza, granitica fermezza e paterna dolcezza, Mons. Pasquale Macchi è uno degli innumerevoli prelati, conosciuti in quasi mezzo secolo di vita, che ricordo con più affetto. Lo incontrai una sola volta, l’estate dopo la dipartita di mio nonno, nelle vicinanze della festa dei SS. Pietro e Paolo del 1995, nel corridoio tra la Basilica e il Palazzo Apostolico. Ero andato con mio papà e Roberto Modestini. In quel pomeriggio, era accompagnato da un frate cappuccino, P. Gabriele Giobbi, e l’ho potuto salutare un po' nella soluzione che si verifica davanti al sepolcro di S. Paolo VI, nelle Grotte Vaticane, con tutta calma. Il dialogo fu telegrafico, ma ricordo lo sguardo delicato e attento, e una sola parola stampata nel cuore: “Figliolo!”.

SANTINO VERNA