Pubblicato Mercoledì, 18 Ottobre 2023
Scritto da Super User

"IL GENIO DELLA CINEMA"....SCRIVERE DEL CINEMA...

FEDERICO FELLINI A 30 ANNI DALLA DIPARTITA

Il 31 ottobre 1993 moriva prematuramente Federico Fellini, uno dei più grandi registi italiani. Nato a Rimini nel 1920, da padre romagnolo e madre romana del rione Esquilino, Federico, come buona parte dei conterranei, tra i quali Antonio Paolucci, si sentiva attratto dalla capitale, dove i giovani andavano a studiare e cominciavano la ricerca del lavoro. Sposò l’attrice Giulietta Masina, una delle poche attrici laureate del suo tempo, compagna di tutta la vita, non solo a casa, ma pure sul set (celeberrimo il lavoro in “Ginger e Fred”).

Ricordare il trentennale della dipartita del regista romagnolo, significa mettere a fuoco uno dei capolavori cinematografici con la sua firma, “Amarcord”, il più autobiografico delle sue opere. Un film ambientato nel borgo S. Giuliano, comune di Rimini, nel periodo tra le due guerre. Questa volta alter ego di Federico, non è Marcello Mastroianni, ma un esordiente padovano, Bruno Zanin.

Fellini, apartitico dichiarato, con simpatie verso la sinistra riformista e comunque atlantica, era cattolico e non meraviglia l’incipit dell’opera autobiografica, con la festa di S. Giuseppe, un tempo più sentita di oggi, perché giorno rosso sul calendario. Per descrivere l’anno, comincia con l’equinozio primaverile, quando la gente salutava l’inverno, con il rogo della vecchia. Un rito celebrato nella semplicità della Rimini di allora, mentre i più audaci pescaresi si tuffavano nelle acque dell’Adriatico, meno inquinato di oggi.

Titta Biondi, appartenente ad una famiglia benestante, va pure a confessarsi, e celebre rimane il colloquio con Don Balosa, all’interno della sacrestia, rigorosamente inginocchiato, dove scorge la statua di S. Luigi, molto venerato, dagli aderenti di Azione Cattolica.

Tra le scene più divertenti, quella dello zio Teo, interpretato da Ciccio Ingrassia, prelevato dall’ospedale psichiatrico, per una giornata libera in campagna. Lo zio, fratello del papà, genio incompreso, sul tragitto verso il casolare, domanda di due sacerdoti. Poi il momento clou dell’albero, dove si arrampica, gridando al vento “Voglio una donna!!!” L’episodio non finisce qui, perché arriva una piccola suora, dotata di una parola d’ordine, per riportarlo sotto, senza problemi.

Secondo Claudio Strinati, il regista riminese si è ispirato ad una tela del Pitocchetto, conservata a Brescia, dove l’artista lombardo raffigura un cieco in dialogo con una bambina. Nel XVII sec., soprattutto in Lombardia, non era raro nell’arte dipingere i poveri e i deboli, per mettere in risalto l’attenzione del Signore verso gli ultimi e gli esclusi.

Il calendario di “Amarcord” prosegue con la festa di S. Antonio Abate, dove dalle campagne i mezzadri tornavano al Borgo, a piedi o in bicicletta, per la benedizione degli animali. Sono affreschi antropologici di un regista, profondamente attento alla società.

La dipartita di Federico Fellini non passò inosservata in quei giorni, mentre l’Italia stava vivendo il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. La notizia del TG1 suscitò commozione come le esequie di Stato, celebrate nella Basilica di S. Maria degli Angeli (poi sempre più sostituita con S. Maria di Monte Santo, Chiesa degli Artisti, in Piazza del Popolo), in Piazza della Repubblica, meglio conosciuta come Piazza Esedra. E fu una felice coincidenza. Quando il Beato Pio IX dichiarò S. Giuseppe patrono della Chiesa Universale, l’8 dicembre 1870, voleva trasformare la Chiesa ricavata dalle Terme di Diocleziano, in luogo dedicato allo sposo castissimo di Maria. S. Giuseppe avrebbe avuto una statua nella piazza dove campeggia la Fontana delle Naiadi del bisnonno di Francesco Rutelli. All’epoca era una Chiesa un po' fuori Roma, e presto diverrà pienissimo centro. Purtroppo il progetto di Papa Mastai Ferretti andò in fumo, e centro capitolino di S. Giuseppe divenne la Basilica del Trionfale. Fellini, in cuor suo, era devoto di S. Giuseppe e lo aveva artisticamente esternato in “Amarcord”, anche con una filastrocca popolare: “Con questo fuoco vecchietta mia/ il freddo e il gelo ti porti via”.

SANTINO VERNA