ARTI E MESTIERI DELLA NOSTRA CITTA’

I SARTI, MAESTRI DI ELEGANZA BEN PROTETTI DAL CIELO

Erano forse gli artigiani in testa alla classifica in Atri, perché ne erano tanti e soprattutto validi. I migliori se li accaparravano le famiglie aristocratiche e alcuni lasciarono la cittadina natale per recarsi a Roma o Milano, oppure all’estero.

Dobbiamo distinguere il sarto per uomo e il sarto per donna, mentre la sarta era principalmente per le signore, anche se sapevano cucire pure per gli uomini. Come dobbiamo distinguere il sarto cittadino e quello campagnolo, che si recava nella casa del contadino.

Ricordiamo con affetto due maestri: Marino Assogna e Roberto Laudadio. Il primo aveva la bottega inizialmente nei pressi di Piazza Martella, successivamente, fino alla pensione, nell’area dietro la torre di S. Maria. Nella bottega precedente tanti erano gli apprendisti, poi cominciarono a diminuire.

Il secondo aveva lavorato a Milano, e una volta tornato in Atri, aveva il luogo di lavoro nella casa in Piazza duchi d’Acquaviva, dove, nonostante l’età molto avanzata, continuava a maneggiare giacche e pantaloni. Amava molto parlare del passato ed era fiero del mestiere di maestro dell’ago e del filo. Il tempo libero lo trascorreva con Peppino De Gabrielis, impiegato del Banco di Napoli e amministratore della chiesa di S. Francesco, Fedele Bosica, impiegato comunale e Mario Muscianese Claudiani, fabbro. Le loro conversazioni sembravano una scena di “Amici miei”. Sempre elegante e compito, Roberto somigliava a Sandro Paternostro, il corrispondente della RAI a Londra che un giorno fece uno scherzo ad un gruppo di giornalisti consegnando a ciascuno una statuetta cinese, dicendo che ne esisteva un solo esemplare.

A questo si aggiunge un altro maestro, recentemente scomparso che aveva convertito la professione di sarto in quella di gestore di lavanderia: Gino Capanna Piscè. L’esercizio, all’ingresso di Piazza duchi d’Acquaviva, era composto di due parti: la lavanderia vera e propria, e, nel retrobottega, il laboratorio del sarto. Gino era grande appassionato di calcio, tifoso della Juventus e aveva tappezzato la lavanderia con i volti della nazionale di Bearzot, campione in Spagna nel 1982. La rosa era rimasta anche quando l’Italia registrò l’insuccesso del Messico e il terzo posto nella Bari di Matarrese nel 1990 battendo l’Inghilterra, mentre la Germania vinceva sull’Argentina a Roma. Quando l’Italia vinse di nuovo il mondiale nel 2006, con Fabio Grosso, la lavanderia di Gino cominciava ad entrare nell’album dei ricordi recenti di Atri, perché veniva trasformata in un bar.

Protettore dei sarti di Atri era S. Nicola di Mira (o di Bari), perché essendo patrono dei mercanti di stoffe, per estensione lo divenne di quanti lavoravano le stesse. Ma forse per la leggenda dell’oste crudele che aveva tagliato (proprio come fa il sarto con le giacche e i pantaloni) tre bambini, messi poi in salamoia e offerti al Vescovo di Mira. Decifrando la leggenda si intuisce S. Nicola difensore dei poveri e dei deboli. Secondo la tradizione un mercante orientale approdò al porto di Cerrano e per ringraziare il Santo di Mira dello scampato pericolo volle erigere un altare nella Cattedrale di Atri, affidato poi alla Congrega dei Sarti come si evince dallo stemma che sormonta la tela, di Giustino Di Giacomo (XIX sec.) La Congrega ha lo stendardo nel Museo Capitolare.

Secondo titolare dell’altare è S. Omobono Tucenghi, patrono di Cremona e protettore dei sarti, avendo esercitato il mestiere dell’ago e del filo. Esempio di santità laicale ante-litteram. La Congrega di Atri organizzava annualmente la festa il 6 dicembre, data obituaria di S. Nicola, con i banchi disposti attorno all’altare dove veniva celebrata la S. Messa in orario antelucano. Era il giorno dell’accensione e della sfilata dei “faugni” con l’organizzazione dei sarti. Nonostante il freddo invernale, la gente lasciava il calduccio del letto ed entrava in Cattedrale. Poi si andava in uno dei pochissimi caffè a prendere una bevanda calda o nelle case degli amici, prima di cominciare il lavoro e le incombenze domestiche.

La “conocchia” di S. Nicola, secondo l’iconografia occidentale, è stata donata dalla Prof.ssa Myriam Marcone al Museo Etnografico di Atri ed è entrata nella copertina della monografia, promossa dal fondatore Ettore Cicconi.

Delle sarte per signora ricordiamo la Signora Gina Sciarra che ha esercitato fino a pochi anni prima della morte nei locali terranei di Via Cardinal Cicada. Tra le realizzazioni diversi costumi per la rappresentazione della Passione di Gesù, nella versione monumentale-storico-itinerante. Si ebbero 10 edizioni, con largo concorso di giovani e anche di meno giovani, con vestiti più in linea con la sensibilità teatrale. Il Ponzio Pilato, l’attore più atteso dopo Gesù, interpretato da Piergiorgio Cipollini ed Elio Forcella, aveva un abito più da magistrato che da soldato.

Oggi i sarti sono pochi. La rivoluzione commerciale ha tirato un grande pugno a questa meravigliosa pagina di artigianato atriano. Si preferisce un abito già confezionato, acquistato all’Iper o all’Universo, dove si trovano un po’ tutte le taglie, ma i vestiti sono un po’ come la pasta: quella fatta in casa è sempre migliore di quella comprata.

SANTINO VERNA