Pubblicato Venerdì, 16 Luglio 2021
Scritto da Santino Verna

INDRO MONTANELLI A VENTI ANNI DALLA DIPARTITA

IL GRANDE GIORNALISTA CHE HA SCRITTO LA STORIA

Il 22 luglio 2001 se ne andava il principe del giornalismo italiano, Indro Montanelli, in una clinica milanese. Concluse la giornata terrena nella città alla quale era molto affezionato, più di Roma, perché se la città manzoniana era quella del lavoro e dell’economia, Roma lo era dell’intrallazzo.

Indro nacque a Fucecchio, tra Firenze e Pisa, nel 1909 da Sestilio e Maddalena Doddoli. Veniva da una famiglia benestante e cominciò subito l’attività giornalistica, avendo per maestri Ugo Oietti e Giuseppe Prezzolini. Del primo ricordava un vizio degli italiani, quello di essere “contemporanei”, ovvero dimenticare il proprio passato. Gli italiani non sono appassionati di storia, e per questo Montanelli scrisse, con taglio divulgativo e interessante, la storia d’Italia, con la collaborazione di un giovane giornalista, Roberto Gervaso, chiamato dai maligni il “figlio di Montanelli”.

Politicamente Indro, da buon toscano, è stato sempre un anarchico. Allergico al potere. Durante il fascismo, ebbe molta simpatia per il regime, e con l’avvento della Repubblica si professò sempre liberale, ma di un liberalismo mai esistito. Vennero gli anni ’70, e divenne una moda passare al PCI. L’Italia era il Paese occidentale con il più forte partito comunista, e dato che la Balena Bianca non perseguitava, conveniva anche agli industriali schierarsi con Enrico Berlinguer. Era un po' uno strascico della contestazione, seguita da Indro con interesse e distacco in pari tempo.

Negli anni di piombo, prima dell’omicidio Moro, Montanelli si staccò dal “Corriere della Sera”, quotidiano nazionale milanese con impronta liberale, in quegli anni, secondo lui, troppo a sinistra. E fondò “Il Giornale”, quotidiano indipendente e anticonformista. Un giornale veramente liberale.

Crollato l’incubo comunista, con la caduta del muro di Berlino, il 10 novembre 1989, l’Italia poteva finalmente prendersi il lusso di condannare la DC. Con la scesa in campo di Silvio Berlusconi, venne fuori il Montanelli di centro-sinistra. Tra Indro e il Cavaliere vi era amicizia, a partire dagli anni ’70, quando il giovane imprenditore meneghino era entrato nel mondo della stampa. Nei primi tempi, come proprietario, il futuro presidente del Milan entrava nello studio del direttore, ma negli anni seguenti si fermava al piano inferiore. Con Montanelli prendeva un tè nel pomeriggio. Di tutto si parlava tranne del giornale.

Berlusconi avendo bisogno del sostegno del quotidiano per l’impresa politica, chiese aiuto a Montanelli. E qui si rivela non tanto l’Indro di sinistra, ma l’Indro anarchico, l’Indro a servizio di nessuno. A servizio soltanto dei lettori. Montanelli non si riconosceva in quella destra, diversa da quella di Sella e Sonnino, e soprattutto di Cavour. Non credeva nella vittoria di Berlusconi, alle elezioni del 27 marzo 1994, e invece il Cavaliere riuscì nell’impresa. Per Montanelli non fu la vittoria della destra, ma la sconfitta della sinistra. La  nuova destra aveva arruolato ex-democristiani, ex-socialisti, ex-liberali ed ex-repubblicani e tanti spaventati del postcomunismo. La vittoria era stata aiutata dal duopolio Mediaset, il cui esordio era stato modesto con trasmissioni sulla cucina per casalinghe.

Montanelli fondò il “Nuovo Giornale”, ma ebbe breve vita. Presto arrivò il fortissimo dolore: la dipartita della moglie Colette Rosselli, due anni dopo l’avventura del nuovo quotidiano. Vedendola soffrire, avallò addirittura l’eutanasia. Era stata la compagna di vita per tanti anni, anche se il matrimonio civile fu celebrato con pochissimi invitati e in sordina.

Indro si professò sempre laico e avrebbe voluto il dono della fede. La madre era profondamente cattolica.  Non gli piacevano Pio XII e Paolo VI, il primo perché aristocratico, il secondo mesto e curiale. Forse l’antipatia verso Papa Montini era legato ad un risentimento per un rimprovero a lui e Moravia, quando era Arcivescovo di Milano.

Gli piacevano, invece, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Ebbe la gioia di conoscerli entrambi. Pranzò con Papa Woytila nel 1986 e rimase impressionato dal cibo sobrio del Pontefice polacco. Era pur vero che erano solo cinque anni dall’attentato, ma il pranzo fu davvero da “infermeria”, con minestrina e poco formaggio. Anche Montanelli era sobrio nei pasti. Forse su copione, nei pochi ritorni sulle rive dell’Arno, gustava la fiorentina o la ribollita.

Ormai avanti negli anni, lucido di mente, con i postumi dell’attentato avvenuto a Milano proprio negli anni di piombo, Indro Montanelli dialogava ogni sabato su La7 con Alan Elkain, sugli avvenimenti della settimana. A Milano gli hanno eretto una statua, nei giardini dove passeggiava. Roma avrebbe dovuto dedicargli almeno una piccola lapide, a Piazza Navona 93, dove abitava, nei soggiorni capitolini, con la moglie Colette.

Montanelli non avrebbe voluto l’epigrafe, dirimpetto alla Basilica di S. Agnese in Agone, meta del turista anche frettoloso della città eterna, diversamente dalla vicina Chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli, l’odierna Nostra Signora del Sacro Cuore. Ma avrebbe ricordato che gli italiani sono un popolo di “memoria corta”. Un’esame di coscienza dettata da una coscienza laica, dove c’era sempre un rispettoso granello di sabbia di fede cristiana.

SANTINO VERNA