Pubblicato Sabato, 26 Aprile 2014
Scritto da Santino Verna

PERSONAGGI ATRIANI

GIOVANNI ANTONELLI, LA PASSIONE PER LA MUSICA E UN GRANDE AMORE PER ATRI

Cultore delle tradizioni atriane, non solo musicali, fu Giovanni Antonelli, nato il 4 febbraio 1909 da Tommaso, sacrista della Cattedrale, originario di Castilenti e Carolina Marcone, atriana quanto il cognome. Nacque sette anni dopo il fratello Eugenio, storico componente del Circolo di AC di Atri, sotto lo sguardo del Beato Rodolfo Acquaviva.

Giovanni Antonelli si chiamava pure un Padre scolopio, matematico e fisico, autore del ripristino dello gnomone del Toscanelli nella Cattedrale di S. Maria del Fiore a Firenze. Il confratello di P. Ernesto Balducci era toscano e questa tonda omonimia rappresenta una felice coincidenza. Atri è la piccola Firenze d’Abruzzo per i suoi tesori d’arte e il maestro Giovanni Antonelli ne fu sempre fiero, assieme alla famiglia, in primis al fratello scultore Peppino.

Di media altezza, magro, con penetranti occhi azzurri, Giovanni era sempre elegante e negli ultimi anni della vita si appoggiava al bastone, come il fratello Peppino.

Nel 1921 conobbe il Maestro Antonio Di Jorio, giunto da Atessa per animare la vita musicale e canora di Atri. Giovanni divenne uno dei migliori allievi come flautista e componente della banda musicale che fino al secondo dopoguerra fu un vanto della città dei calanchi. Pertanto entrò nel microcosmo bandistico e ne conosceva gli aneddoti, condivisi con uno dei più grandi studiosi delle bande in Abruzzo, Franco Farias, di Loreto Aprutino, proveniente da una famiglia di bandisti.

Raccontiamo solo l’episodio del “camafro”. Nelle feste patronali, dove era sempre presente la banda per l’esibizione, il giro e il sottofondo della processione, i migliori suonatori, insieme ovviamente al maestro, venivano invitati a pranzo dai maggiorenti e tra questi c’era l’Arciprete. In un borgo abruzzese nella casa del parroco arrivò un componente che dopo un bel pranzo fu invitato, davanti ai presenti, a suonare lo strumento. Ma il bandista non sapeva suonare, appunto perché era “camafro”, impegnato a fare numero sulla cassa armonica e nelle strade del paese, con tanto di divisa. Il più delle volte era un artigiano che si prestava per fare questo servizio. La particolare dizione fu riesumata dal maestro Quinto Paolini che ha dato sempre ampio spazio all’educazione musicale nella scuola primaria e nel 1986 con tanta fibrillazione presentò i suoi scolari (c’era ancora il Maestro unico che accompagnava i bambini dalla prima alla quinta, ma ancora per poco), nella festa di S. Reparata. Nelle settimane precedenti era viva la suspence riguardo alla divisa della piccola banda, ma poi tutti scoprirono che era un bel vestito rosso. Infatti il gruppo era chiamato “camafri rossi”.

Giovanni Antonelli seguiva tutti gli appuntamenti musicali di Atri e si gustava le migliori bande che giungevano per le due feste annuali, in bonaria rivalità: S. Reparata e S. Rita, quest’ultima con l’organizzazione del dinamico comitato presieduto dal cav. Antonio Concetti che da più di mezzo secolo anima la principale festa cittadina. Ma anche le “bandicelle”, proveniente da diversi comuni abruzzesi come Cepagatti, per la festa della Madonna de la Salette, in giugno. Condivideva la passione per la banda con il maestro Gaetano Catarra, di tre anni più grande di lui, residente a Portico Pomenti. Era originario di Fontanelle e gestiva il negozio di calzature in Corso Elio Adriano.

Ma seguiva pure i cori folkloristici, perché in un batter d’occhio dal laboratorio dirimpetto al fianco Sud della Cattedrale arrivava in Piazza Duomo. Diceva che la direzione del Prof. Alfonso Bizzarri dava un tocco molto polifonico alla musica folk e lo confidava al Prof. Giuseppino Mincione, docente universitario e autore di poesie in vernacolo, musicate da Antonio Di Jorio e dal suo amico Prof. Antonio Piovano.

Quando incontrava Costanzo Marcone, per tanti anni funzionario alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, gli ripeteva la filastrocca di Firenze capitale d’Italia. Lo fu per breve tempo, ma non era un problema perdere il privilegio a vantaggio di Roma. La disposizione dispiacque a Torino, certamente più povera di opere d’arte rispetto alla città di Dante.

Aveva sposato Annunziata Faenza ed ebbero tre figli: il Prof. Giancarlo, docente di lettere all’ITC “A. Zoli” e giornalista, Rita, funzionaria comunale e il Prof. Tommaso, docente di economia aziendale sempre allo storico istituto atriano e presentatore ufficiale del coro folkloristico di Atri, presieduto dal Rag. Antonio Manco e diretto dal Prof.Cav. Concezio Leonzi.

Giovanni fu intervistato brevemente da Monica Leofreddi il 5 dicembre 1989 quando “Uno Mattina”, allora condotto da Puccio Corona e Livia Azzariti fece il collegamento con Atri, in occasione dell’annuale accensione e sfilata dei “faugni”, presentati da Nino D’Alessio e dal Prof. Pino Zanni Ulisse. L’intervista allo storico componente della banda si tenne nel chiostro della Cattedrale, dove parlò pure il Prof. Concezio Leonzi. Entrambi avevano per comune denominatore Antonio Di Jorio, padre della canzonetta abruzzese, meno famoso di Francesco Paolo Tosti, ma un grande dell’Abruzzo.

Il figlio Tommaso lo ricordò nella poesia “Lu pinge rette”, declamata in occasione dei suoi 50 anni, davanti ad amici e parenti nel ristorante “Green time”, in Portico Pomenti. Ora non esiste più, perché è stato trasformato in pizzeria e si chiama “duchi d’Acquaviva”, locuzione certamente più atriana.

Giovanni morì nel 1996 e le esequie furono celebrate in S. Francesco, perché la Cattedrale era impraticabile per i restauri che durarono da febbraio a novembre di quell’anno. La stessa chiesa dove venne funerato il fratello Peppino che ha fermato nell’argilla anche il maestro Antonio Di Jorio, imago brevis di una Atri che non c’è più, ma rimane nel cuore di tutti gli atriani.

Diceva ogni tanto: Chi di schine, chi de pette, tutte teneme nu difette e con questo incoraggiava giovani e meno giovani nel cammino della vita.

SANTINO VERNA