Pubblicato Sabato, 19 Maggio 2012

Atri: le nostre tradizioni. La festa di Santa Rita e la buona tavola.

“Festa ‘n chjise e rumore ‘n cucine.”

di Concezio Leonzi

Il desiderio più grande dei nostri nonni e dei nostri genitori era che l’inverno passasse in fretta. L’inverno era lungo e difficoltoso, a quei tempi, senza riscaldamento nelle case e con il guardaroba non sempre all’altezza delle temperature rigide. All’arrivo dei primi freddi i vecchi solevano ripetere: “’Mbè mo se n’arve’ Sanda Rite?”, facendo coincidere idealmente la festa di Santa Rita con la fine dell’inverno e l’inizio della bella stagione.

Il nostro inverno era lungo davvero, ma gli atriani si ingegnavano in mille modi per “affrettare” i tempi. Ci pensavano le attività culturali e ricreative, alcune delle quali rimaste per fortuna in vita ancora oggi: le recite a teatro, la banda, i cori e, per i più impegnati, le fumose sedi di partito. Tutto si tirava per le lunghe. L’allestimento di una commedia durava mesi, spesso svolto direttamente in Teatro. Le prove della banda (fino al 1952 Atri aveva una banda con i fiocchi) per mettere a punto il repertorio della “stagione” iniziavano dopo le festività natalizie, con cadenza quotidiana e vi assistevano anche alcuni melomani fortunati, giudici severissimi, in tempi in cui ascoltare la musica dal vivo era un privilegio di pochi. E dopo le prove o le riunioni tutto finiva allegramente “a tarallucci e vino”, in attesa della grande festa di maggio, che dava ufficialmente il via all’estate atriana. E tra una canto e l’altro, un preludio della Traviata e la sinfonia dal Barbiere di Siviglia, tra una rivista e una commedia musicale, finalmente arrivava, dopo la stagione fredda, la festa di Santa Rita. Che gioia per i giovani, alle prese con i primi incontri amorosi; che letizia per i vecchi crogiolarsi al sole sul sagrato di Santa Maria o passeggiare “sotto le mura”; che mestizia per i devoti della Santa degli impossibili, partecipare  presso la Chiesa della Trinità alle sante messe dei quindici giovedì precedenti la festa della Santa, e poi la novena, il triduo con il predicatore, infine la Messa “delle rose” del giorno 22. E per concludere, l’ottavario: altri otto giorni di preghiere e di raccoglimento.

Per tutti era arrivata la prima e forse la più grande festa dell’anno. Tutto assumeva l’aspetto ridente del sole. Persino i piatti della nostra cucina popolare tornavano a sprigionare profumi dimenticati, grazie alle erbe nuove di maggio. Oggi le cose sono cambiate, eppure chi passeggi senza fretta nel quartiere di Capo d’Atri in questo periodo di primavera, oltre a vedere i numerosi pellegrini recarsi devotamente in Chiesa, come in una scena dalla “Cavalleria rusticana”, avrà modo di risentire ancora il profumo di antiche ricette popolari, che imbalsama i vicoletti di Via Picena e Via Trinità. Dalle mani sapienti delle massaie, specie quelle di una certa età, riprendono vita piatti semplici e gustosi, come le zuppe di riso con patate e sedano o i quadretti in bianco con i piselli (che tanto piacevano a D’Annunzio), i tacconelli senza uova, condite con pomodoro fresco e basilico. Ma a farla da padrona è la zuppa rustica a base di pomodoro, peperoni e melanzane, che raggiungono il massimo del gusto quando nel tegame di coccio si lasciano scivolare delicatamente le uova fresche. Queste vengono immerse nella zuppa bollente per qualche minuto, senza girarle, perché conservino l’invitante forma sferica. Anche il loro nome ha qualcosa di mistico: “L’ove ‘mpregadorie”. Nel giorno di Santa Rita era tradizione che si invitassero a pranzo parenti o amici stretti venuti da lontano per onorare la Santa. Allora il pranzo era quello delle grandi occasioni: il brodo di pollo, innanzitutto, seguito dal bollito con sottaceti e dai maccheroni alla chitarra, mentre per il secondo ci si affidava alla fantasia e alle tasche della capo di casa. E per la gioia dei bambini e dei più grandi c’erano, e per fortuna ci sono ancora, la banda, i cori, le bancarelle di noccioline, le luminarie. Le chiassose strade del centro, invase da forestieri vestiti a festa, tornano così a rivivere per alcuni giorni l’atmosfera gaia, dal sapore antico, che gli atriani hanno particolarmente a cuore. 

Concezio Leonzi