Pubblicato Lunedì, 29 Marzo 2021
Scritto da Gabriella Liberatore

Ars gratia artis

Ciao Frà, tu cavaliere errante...la tua stessa vita si è fatta arte... 

...dopo cinque giorni mi devo arrendere e le parole, forse, cominciano ad uscire.  Verbalizzare è dare un senso alle cose, consegnarsi alla realtà.

Questa è stata in assoluto la settimana più brutta della mia vita e la messe di emozioni che si aggrovigliano dall’ultimo contatto mi chiede di provare a fare ordine…come se fosse facile.

E non so da dove cominciare, anche perché sei tu il Maestro di trame che sembrano senza senso fino a quando non arriva un sonoro ceffone. E, stavolta, la più dolorosa delle sberle è arrivata senza atti e senza personaggi, e dire che ce le siamo anche date, ma questa fa male da togliere il fiato.

Proverò dall’inizio, come c’era una volta, perché, in fondo, pur nella mia ordinata follia (figlia della tua), un po' pedante lo sono e non posso avventurarmi in alterazioni temporali di cui sei ineguagliabile padrone.

Dire di te è dire di me, come di tanti altri, di Marco, Francesco, Enio, Roberta, Giuseppe, Gianni, Anna e poi Piero, Maurizio, Umberto, Elio, Roberto…perché siamo riflesso, eco e ingredienti della tua natura.

Dalla sconclusionata compagine de I pummadors, con i suoi improbabili approcci sonori, senza il benché minimo rudimento musicale, alle chilometriche bandiere tricolore che per tutti gli anni ’90 hanno alimentato la nostra illusoria speranza di sfilare, alle escursioni montane che puntualmente si trasformavano in artigianali set cinematografici, ai tornei di calcetto nel campetto della villa, alle conversazioni senza fine, alle tombole impossibili ed esasperate che, complice Alberto, trasformavi in farsa.

Era come vivere dentro un interminabile rito collettivo, come collettive erano anche le più semplici azioni quotidiane e con esse i suoi protagonisti e lo zio Gigg con il suo inseparabile Birillo diventava idealmente lo zio di tutti noi.

Poi, è arrivata la vita con le sue regole, con gli amori, gli strappi, le scelte, le partenze e i ritorni, l’avventura politica, le convenzioni, i condizionamenti ai quali tu non ti sei piegato mai.

Si, perché, ed io per prima, abbiamo tutti un po’ceduto al compromesso, quello per cui non so se ragionevolmente si deve cercare un posto e un ruolo nella vita.

Oggi, attraverso gli occhi di questo immenso dolore, penso che tu sia stato ad osservarci nel nostro fluire. Quel balcone, in fondo, altro non è che un severo affaccio, di certo lo è per me, sui tanti orpelli da cui tu non ti sei lasciato ammaliare.

Tu, cavaliere errante, hai vagabondato per avventure non in cerca di gloria, ma solo in ossequio all’avventura stessa. E la tua stessa vita si è fatta arte.

Nel tentativo di fare ordine, penso anche ai numeri che segnano i giorni della settimana in cui ci hai lasciati, tra il primo giorno di primavera e quello in cui il Mondo celebra il Teatro. E precedono di poco l’appuntamento che nell’immaginario collettivo più di tutti ti identifica, la Passione di Gesù.  

Chiedo venia, se mi avventuro su questo terreno, che, almeno nelle intenzioni, rifugge da ogni rischio blasfemo. Nelle tue innumerevoli interpretazioni e direzioni della sacra rappresentazione c’era tutto il tuo amore sensuale per la vita.  Ai sensi, sì, a quelli hai obbedito e da essi ti sei fatto guidare. Gli stessi che ti hanno consentito di entrare e uscire da personaggi incredibili, dei quali il più grande resti tu, Frà.

Non so quando realizzerò che tutto questo lo sto scrivendo davvero, perché è irreparabilmente tutto vero. Non so dove tu sia, se tu sia stato smentito o abbia trovato conferme.  Al di là di ogni oltre, non mi consola ma sono sicura che approverai, tento di pensarti sul monte Parnaso a inebriarti di Muse.

Qui, un cielo nero incombe, versiamo lacrime mai piante. Il tempo, forse, farà il suo inesorabile lavoro, ma un corpo amputato non potrà mai avere indietro la parte mancante.

Infinitamente
Gabriella Liberatore