Pubblicato Mercoledì, 24 Marzo 2021
Scritto da Santino Verna

LE NOSTRE BELLE TRADIZIONI

IL CANTO DELLA PASSIONE: UNA LAUDA POPOLARE DELLA SETTIMANA SANTA 

In pochi luoghi d’Abruzzo resiste il canto della Passione, portato nelle case, nei paesi e in campagna, nei primi giorni della Settimana Santa. Proprio quando incombeva la minaccia d’estinzione, è arrivato l’antidoto degli etnomusicologi, antropologi della musica sul sentiero di Sandro Biagiola, Diego Carpitella, Roberto Leydi e Valerio Nataletti, per menzionare quelli più famosi.

L’Abruzzo era ed è un terreno molto fecondo per l’etnomusicologia. Per i canti della Settimana Santa, ricordiamo l’opera di Carlo Di Silvestre, allievo di Roberto Leydi, la cui ricerca nei vari luoghi della regione, soprattutto i più dimenticati, è cominciata nel 1984, quando era ancora in atto la terza fase d’oro dei cori folkloristici abruzzesi.

Un canto associato a quelli della Passione, pur non appartenendo alla Quaresima e alla Settimana Santa, è quello dell’Annunziata, portato da alcuni cantastorie, ed eseguito esclusivamente a Villa Pasquini di Lanciano. Il canto è stato indagato da Emiliano Giancristofaro, uno dei più grandi antropologi abruzzesi e incasellato nelle “Storie del silenzio”. E’ associato alla Passione, per la collocazione calendariale. La solennità dell’Annunciazione del Signore, cade il 25 marzo, sempre in Quaresima e talvolta nella Settimana Santa. Proprio quando non può essere celebrata, viene trasferita al lunedì dopo la domenica in albis. A livello popolare, l’Annunziata (chiamata ancora con la dizione popolare), rimane sempre il 25 marzo, uno dei giorni ufficiali dell’entrata della primavera.

Il canto della Passione è una tradizione anche di altre regioni come l’Umbria, dove si vuole il collegamento con le laudi di Iacopone. Veniva eseguito oltre alla Settimana Santa, anche nelle domeniche di Quaresima e i menestrelli, alla fine del canto, avevano talvolta la richiesta di eseguire brani religiosi non collegati alla Passione, come l’inno alla Madonna della Stella di Montefalco, o quello alla Madonna del Transito di Canoscio. Tra i paesi con questa tradizione Giano nell’Umbria, patria del Card. Basilio Pompilio, il porporato che ordinò sacerdote S. Massimiliano Maria Kolbe.

Compenso dell’esibizione erano doni in natura del padrone di casa, come le uova, cibo squisitamente pasquale perché indicante la rinascita, ma anche l’abbraccio di Dio con l’uomo, la riconciliazione tra il Cielo e la terra. Le uova non erano ancora di cioccolato, ma non mancavano i dolci. I menestrelli erano accompagnati da fisarmonica bitonale e triangolo, talvolta (in Umbria) dal violino.

La tradizione era presente anche in Atri, con il piccolo gruppo dei “passionari”. Come tante altre consuetudini si è affievolita e poi estinta, ma è stata rinverdita dal coro “A. Di Jorio” e dal direttore M° Prof. Concezio Leonzi, grazie alla Via Crucis in dialetto, composta dal Prof. Tommaso Antonelli, docente di economia a riposo e delegato delle attività culturali delle ACLI.

La Via Crucis, pia pratica dei venerdì di Quaresima, con Atri ha una relazione privilegiata, perché Isabella Acquaviva Strozzi, ultima duchessa del territorio atriano, era figlia spirituale di S. Leonardo da Porto Maurizio, apostolo di questa santa pratica.

Il coro di Atri ha portato la Via Crucis in vernacolo, in vari luoghi, a partire dalla città acquaviviana. Un modo per meglio interiorizzare il cammino della croce, dalla condanna a morte, fino alla deposizione, in attesa dell’alba della Resurrezione. Il canto del Giovedì Santo può essere anche triste, pensando agli atroci dolori del Signore, ma siamo già nella luce del mattino di Pasqua.

Tommaso Antonelli aveva in cantiere anche la Via Lucis, pia pratica contemporanea, promossa nelle catacombe romane da Don Sabino Palumbieri, salesiano, in occasione del primo centenario della dipartita di Don Bosco. Don Palumbieri, oltre per questa pratica, è conosciuto, perché per alcune domeniche ha celebrato l’Eucarestia, in diretta su Radio 1, dai microfoni di Radio Vaticana.

La Via Lucis non ha la portata emotiva della Via Crucis, come la Settimana Santa non ha l’intensità della cinquantina pasquale. Lo vediamo con le processioni (impedite dal covid) del Venerdì Santo in Abruzzo, dalla famosissima Chieti a Lanciano, da L’Aquila a Sulmona, da Teramo a S. Valentino in Abruzzo Citeriore, piccolo borgo dell’entroterra pescarese che offre una complessa teoria processionale, pur non essendo sede vescovile. Il tempo pasquale, oltre alle processioni della Resurrezione, come l’incontro dei Santi a Lanciano e la Madonna che scappa in piazza a Sulmona, esclusa l’appendice dei talami di Orsogna, non ha particolari feste (i serpari di S. Domenico a Cocullo, si svolgono nel tempo di Pasqua, ma solo incidentalmente, perché la festa dal 22 gennaio fu traslata al primo giovedì di maggio).

Il canto del Giovedì Santo, sul filo rosso dei cambiamenti culturali, ha subito il processo di musealizzazione. Da lauda itinerante, con l’offerta di un piccolo “complimento”, quasi la spartana anteprima dei dolci benedetti a Pasqua, si è trasformata in suggestivo momento orante, all’interno di una chiesa monumentale, con il sostegno di un coro ben preparato, dove lo strumento per antonomasia, l’acciarino, sembra non avere più la giusta cittadinanza.

SANTINO VERNA