Pubblicato Lunedì, 24 Febbraio 2014
Scritto da Santino Verna

PERSONAGGI ATRIANI

IL BEATO RODOLFO ACQUAVIVA, UN GRANDE FIGLIO DELLA NOSTRA CITTA’

 

Nella Basilica del Gesù Nuovo a Napoli, all’ingresso della chiesa, in una cappella sono raffigurati i martiri di Salsette, e tra questi c’è il Beato Rodolfo Acquaviva. I gesuiti napoletani, molto attenti alla storia dell’Ordine, lo indicano con precisione e venerazione.

Rodolfo nacque in Atri, nella camera nuziale del palazzo ducale, il 2 ottobre 1550, nello stesso anno in cui nasceva, nella non lontana Bucchianico, S. Camillo de Lellis. Il padre era Giovan Girolamo Acquaviva, duca d’Atri, la madre, Margherita Pio di Carpi. La data di nascita aveva un nesso ignaziano, la memoria degli Angeli Custodi, il cui Ufficio fu scritto da S. Roberto Bellarmino (l’omonima chiesa romana era la “parrocchia” di Papa Francesco, quando era il Cardinal Bergoglio), legato alla provincia di Teramo, perché alcuni discendenti si stabilirono a Tossicia, nell’antica diocesi di Penne. Attualmente a Teramo risiede la lontana pronipote Grazia Cerulli Cardellini.

Il giovane Rodolfo dedicava il suo tempo agli infermi e ai poveri nel vicino ospizio di S. Liberatore, e nel 1568, una predica di un figlio di S. Ignazio maturò nel suo cuore la chiamata alla vita sacerdotale e missionaria. Suo zio, di sette anni più grande, P. Claudio, era entrato nella Compagnia di Gesù e 13 anni dopo la vocazione del nipote divenne la massima autorità dell’Ordine. E anche nel XX secolo ci sono stati due gesuiti, zio e nipote, molto famosi, i Lombardi, P. Riccardo e P. Federico, il primo “microfono di Dio” durante il pontificato di Pio XII, ben evidenziato dalla fiction su De Gasperi, il secondo attuale responsabile dell’ufficio stampa del Vaticano, volto noto, anche se appartato, perché lo abbiamo visto tante volte accanto a Benedetto XVI e ora a Francesco.

I genitori di Rodolfo non presero molto bene la chiamata del figlio, contrariamente alla mentalità dell’epoca che vedeva ottimamente la scelta sacerdotale o religiosa della prola, per via del maggiorascato che prevedeva il patrimonio tutto per il primogenito, con l’unico fine di mantenere compatta l’eredità. Questo spiega la presenza di tantissime chiese a Lecce, seconda città del Regno delle Due Sicilie, perché gli attigui conventi ospitavano frati e monache legati a questa consuetudine.

Ma Rodolfo entrò lo stesso tra i gesuiti, compiendo i severi anni di formazione. Nel 1578 fu ordinato sacerdote a Lisbona e la città di S. Antonio non fu casuale per l’amministrazione del Sacramento, perché dalla capitale lusitana sarebbero partiti i missionari per Goa. Lo zio stava per raggiungere la massima carica eppure non volle mai beneficiare dell’illustre parentela per avere una tranquilla residenza nel Regno delle Due Sicilie tra cattedre e libri.

Volle portare il Vangelo nelle Indie e non sarebbe più tornato nella sua Atri. Cinque furono gli anni che passò nelle Indie, perché si scontrò con le grandi autorità ai quali rimproverava l’immoralità. Pertanto, assieme ai suoi compagni fu ucciso nella terza decade di luglio 1583. Il giorno del martirio non si riuscì a stabilire con esattezza e certamente questo non era il principale problema dei figli di S. Ignazio, attenti certamente alla santità della famiglia religiosa, ma non troppo inclini a fare incursioni nei meandri dell’agiografia e della tradizione popolare. Si stabilì come data convenzionale il 27 luglio, giorno occupato dal calendario da un Santo molto famoso in Abruzzo, Pantaleone, le cui reliquie sono custodite nella chiesa del Purgatorio a Lanciano, sulla stessa strada del Miracolo Eucaristico.

La beatificazione di Rodolfo arrivò molto in ritardo, perché ci fu una discussione circa il martirio. Si pensava che il gesuita atriano e i suoi compagni fossero andati in maniera precipitosa al martirio, quasi alla ricerca della gloria. L’anno della beatificazione fu il 1893 per opera di Leone XIII che aveva un fratello gesuita e vi era stato collegiale da giovane.

Il culto del Beato Rodolfo ebbe un momento particolare in Atri nella prima metà del XX sec. quando gli fu intitolato il Circolo interparrocchiale di Azione Cattolica. Quando nacque l’altro circolo, presso la chiesa di S. Nicola, titolare divenne S. Giovanni Bosco.

La festa del Beato Rodolfo, il 27 luglio, non è mai entrata pienamente nell’almanacco atriano, forse perché nessuno è profeta in patria. Nel 2000 si doveva fare il corteo storico rievocando la figura di Rodolfo, dato che c’era l’intenzione di rappresentare ogni anno un momento importante della sgargiante storia atriana. Mancavano però i fondi e si tornò alla sfilata dei carri dipinti trainati dai buoi, kermesse molto apprezzata dagli atriani e dai turisti, perché versione aggiornata della Maggiolata.

Il Beato Rodolfo compare in una poesia di Antonino Anello che lo invoca per far funzionare le cose di Atri. Certo lui può metterci una buona parola, lui che ha portato il nome di Atri nelle Indie ed è sempre un esempio di sprovincializzazione e apertura al mondo e alle culture con tutti i problemi connessi.

SANTINO VERNA