Pubblicato Giovedì, 09 Luglio 2020
Scritto da Santino Verna

LE DUE SPONDE DELL'ADRIATICO

UN LIBRO DI STEVKA SMITRAN, RACCOLTA DI SAGGI SLAVISTICI

Fresco di stampa, il libro di Stevka Smitran “Storia e mito slavo” (Aracne, Canterano, 2020, pp.171, euro 15), raccolta di saggi dal 1979 al 2019. Un viaggio nel mondo letterario, storico, artistico e sociologico della Jugoslavia, ancora molto sconosciuto in Italia e in Europa. 

L’autrice, originaria di Bosanska Gradiska, presso Banja Luka, in Bosnia-Erzegovina, ha studiato all’Università di Belgrado e ha conseguito il dottorato di ricerca.  Giunta sulla sponda occidentale dell’Adriatico, avendo sposato Marco Luigi Di Varano, di Isola del Gran Sasso, tragicamente scomparso per incidente stradale proprio in Bosnia, nel 2011, la docente insegna all’Università degli Studi di Teramo, dopo l’insegnamento alla “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara.

Nei primi anni ’80 ha collaborato, per la musica, presso la sede RAI di Pescara. Erano gli anni in cui la cultura aveva una parte privilegiata nella TV di Stato, ruolo egregiamente conservato da Radio 3, l’unico canale che trasmette la musica non trasmessa dagli altri.

Stevka Smitran è responsabile culturale della Fondazione “Pescarabruzzo” e cofondatore e segretario del Premio internazionale “Nord-Sud” presso la stessa, ubicata al centro di Corso Umberto I, dove si svolge la movida cittadina, tra negozi, appartamenti ancora abitati, cittadini di ogni età in bicicletta, in quanto isola pedonale. Nel 2007 ha ricevuto il riconoscimento “Great Woman of the 21st. Century” dall’American Biographical Institute e nel 2018 la città natale gli ha conferito il diploma di Benemerito della cultura e dell’istruzione.

Il libro è dedicato al consorte Luigi e al figlio Igor, anche lui poeta, e attualmente ingegnere in Germania, dove vive con la moglie e i figli. La Professoressa, residente a Montesilvano, nella parte meridionale del vasto comune al confine con quello di Pescara, ti accoglie con il sorriso e la gioia, offrendo il caffè turco, preparato sull’apposita caraffa. Non di rado il caffè proviene dalla Jugoslavia.

Il primo aggettivo che incontriamo nel libro, a proposito di Ivo Andric, è “jugoslavo”, demotico riguardante la geopolitica dei Balcani, entrata con forza nelle case degli italiani, una ventina d’anni fa, con la guerra e il volto di Milosevic. La Jugoslavia, però, è un termine geografico e indica, la terra degli Slavi del Sud, comprendente Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Serbia e Montenegro.

La Professoressa ha dedicato un capitolo alle relazioni tra l’Abruzzo e i Paesi balcanici, nel periodo tra tardo Medioevo e Rinascimento, con ovvio riferimento ad Atri, il cui porto di Cerrano, attivo fino al XVI secolo, consentiva relazioni commerciali e culturali con i Paesi d’oltremare. La città con maggior rapporti transadriatici era Lanciano, per via delle fiere annuali e anche per la classe ecclesiastica e aristocratica presente nel capoluogo frentano. Nel 1515 divenne sede vescovile, e subito dopo arcivescovile, con territorio staccato da Chieti e giurisdizioni su pochi paesi del circondario. Le famiglie facoltose erano presenti nei palazzi cittadini, attualmente sempre più disabitati, per la gente trasferita nelle aree periferiche del comune o nei paesi limitrofi.

Lanciano aveva una felice posizione, perché si trovava sulla via che da Bari portava ad Ancona, e quindi consentiva il collegamento con l’Italia Settentrionale e quindi con la Francia. Costituiva anche un nodo stradale con l’entroterra, grazie alla Val di Sangro, dove rifulge indirettamente l’azione pastorale di S. Filippo Neri, commendatario di S. Giovanni in Venere, collegata a Palena, e breve quindi il passaggio con Roccaraso e Napoli, capitale del Regno delle Due Sicilie.

Cognomi di origine slava presenti nel territorio di Lanciano, furono italianizzati, e per questo Cotulich divenne Cotellessa, Iuric (eponimi di una piccola frazione di Ortona) Iurisci e Stanic, Staniscia. Fenomeno presente sull’altra sponda adriatica, in epoca rinascimentale, quando vari cognomi ragusei venivano resi nella lingua di Dante, Boccaccio e Petrarca. Le famiglie abbienti di Ragusa mandavano a studiare i figli principalmente a Padova, Pisa e Firenze, anche se le relazioni, nei secoli seguenti, furono più fitte con la città di Antenore, per contiguità territoriale e il comune denominatore di Venezia, ormai presente in terraferma, come dimostra il leone di S. Marco, issato sulle colonne delle principali città di Istria e Dalmazia. Ragusa era la quinta repubblica marinara italiana, e i ragusei usavano raramente il croato nei documenti, perché le tre lingue adoperate erano il latino (la lingua della Chiesa di Roma, perché cattolici romani), l’italiano e il dalmatico, antica lingua neolatina o romanza.

Il testo si conclude con un saggio sulla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Quell’incubo che giustificava l’avallo della corruzione in Italia, per dirla con Indro Montanelli, la cui fine ha ridefinito l’assetto geopolitico dell’Europa Orientale.

Il libro di Stevka Smitran è un sapido supporto per i manuali di storia medioevale, moderna e contemporanea dei licei, dove la descrizione è tutta (o quasi) atlantica. Anche se è stata scritta da emeriti storici di sinistra. E soprattutto dei licei abruzzesi, perché è fondamentale conoscere la storia dei propri dirimpettai che tanto hanno inciso (pensiamo solo alla festa del Verde Giorgio di S. Giovanni Lipioni), nella vita  e nella “petit histoire” delle genti d’Abruzzo.

SANTINO VERNA