Pubblicato Venerdì, 01 Maggio 2020
Scritto da Santino Verna

UNA NUOVA CARRELLATA: I SANTI E LA PESTE

SANT’ANTONIO ABATE E LA CHIESA DEGLI APPESTATI A SARONNO

Tra i Santi protettori degli appestati, figura S. Antonio Abate, uno dei primi testimoni della fede non martiri, ovvero passati all’altra riva, senza spargimento di sangue. Antonio Abate è venerato da Cattolici, Ortodossi e Anglicani. 

Antonio era nato in Egitto nel 251, anche se alcuni studiosi pospongono di vent’anni la nascita. Veniva da una famiglia agiata con proprietà terriere e alla prematura morte dei genitori, collocò la sorella in una comunità di vergini e dopo essersi consultato con un sacerdote e certamente con altri uomini di grande spiritualità, si ritirò nel deserto per condurre vita ascetica.

La fama di santità attrasse molti seguaci ed ebbe una relazione epistolare anche con l’imperatore Costantino. Durante una persecuzione, prima dell’editto che concedeva la tolleranza ai cristiani, uscì dall’eremitaggio e andò a confortare i cristiani che subivano le ultime forti violenze da parte dei Romani. Quando i persecutori lo videro, volevano ammazzare pure lui, ma rimasero intimoriti dalla profonda spiritualità e dal forte carisma. Così Antonio poteva tornare nel suo deserto.

La morte lo colse nel 356. Se ci atteniamo alla data tradizionale di nascita, sarebbe molto ultracentenario, altrimenti avrebbe concluso la giornata terrena a 85 anni. Nelle agiografie antiche per indicare, talvolta, la grandezza di un Santo, si tendeva ad aumentare l’età. Comunque era abbastanza anziano per l’epoca. Le sue gesta, già conosciute dai seguaci, ebbero un forte impatto su S. Atanasio, Vescovo di Alessandria, festeggiato il 2 maggio, perché ottava di S. Marco. Grazie a questo campione della dottrina cristiana, S. Antonio Abate fu conosciuto in Occidente.

Padre di tutti i monaci, il corpo dall’Egitto fu trasferito a Costantinopoli, ma per tenerlo sicuro dalle profanazioni prese la via dell’Occidente, nei pressi di Arles. Data l’austera agiografia, si sviluppò la parallela biografia popolare, come Santo lottatore contro il demonio che gli compariva nelle sembianze di donne prosperose o di animali feroci.

L’acme di questa biografia si ebbe nel XIV secolo, quando un giullare dell’Italia Settentrionale, compose la “Historia Sancti Antonii”, certamente una riplasmazione dell’eremita egiziano. A sostegno della diffusione, la collocazione calendariale del 17 gennaio, quando il contadino ha meno lavori nei campi e si può dedicare a serate di allegria e socialità. Una collocazione non soggetta a variazioni, come è avvenuto, in tempi recenti, per l’omologo occidentale, Benedetto, festeggiato il 21 marzo (inizio della primavera, da qui il proverbio “San Benedetto/ la rondine sotto il tetto”) e trasferito all’11 luglio, perché il giorno marzolino cadeva sempre in Quaresima.

Presente nella metereognostica, S. Antonio è ricordato nell’Italia Settentrionale del coronavirus come “mercante di neve”, perché sono i giorni più freddi dell’anno. Ricordiamo almeno due proverbi: “Sant’Antonio la gran freddura/ San Lorenzo la gran calura, l’una e l’altra poco dura” o “Sant’Antonio con la barba bianca, se non piove, la neve non manca”.

I contadini nel Medioevo erano molto devoti di S. Antonio, perché proteggeva il bestiame e dal bestiame, non solo gli animali dalle malattie, ma anche dagli agguati di cani rabbiosi, cavalli sbizzarriti, tori inferociti. Per questo si diffuse la consuetudine di benedire le stalle e condurre sul sagrato della Chiesa Parrocchiale o con S. Antonio eponimo, gli animali da cortile. Nel 1831 a Roma varie chiese pretendevano l’esclusiva della benedizione del bestiame e il privilegio fu dato ad una Chiesa nei pressi della Basilica di S. Maria Maggiore, dove S. Antonio Abate veniva sostituito da S. Eusebio.

La devozione a S. Antonio era dettata dal timore medioevale del demonio. Poiché S. Antonio lo aveva vinto con preghiera e digiuno, tutti si assicuravano la protezione del Santo. E forse da qui è derivato il legame con la peste, come ricorda una chiesa di Saronno, eretta nel 1385. Durante la peste manzoniana, alla chiesa fu annesso un lazzaretto. La gente invocava S. Sebastiano, e breve fu l’accostamento all’Abate egiziano, perché vicine sono le feste liturgiche. Questo avviene anche nel Vastese e nel Molise, dove S. Sebastiano, in luogo di S. Antonio Abate, conclude le vigilie del solstizio invernale, quando una squadra di cantori e suonatori (non travestiti però per il S. Sebastiano), esegue una filastrocca con le gesta del martire, un tempo girando per le case, ora all’interno di una chiesa o un circolo ricreativo.

La malattia però legata fortemente a S. Antonio Abate è l’herpes zoster, o fuoco di S. Antonio. Questo morbo veniva curato nel Tardo Medioevo dagli Antoniti, famiglia religiosa poi estinta, con Casa Madre in Francia. I religiosi ospedalieri per la manutenzione delle case, allevavano i maiali, e forse da questa consuetudine si diffuse la presenza del suino ai piedi di S. Antonio, nell’iconografia. Per alcuni studiosi sarebbe simbolo del demonio sconfitto, condannato a seguire il Santo durante gli spostamenti, per altri simbolo dell’innocenza prima del peccato originale, recuperata da Antonio con la vita ascetica. Nel giardino genesiaco, gli uomini vivevano pacificamente con le bestie feroci.

SANTINO VERNA