Pubblicato Martedì, 28 Aprile 2020
Scritto da Santino Verna

UNA NUOVA CARRELLATA: I SANTI E LA PESTE

SAN CARLO, UN TESTIMONE DELLA FEDE LEGATO ALLA PESTE

Carlo Borromeo nacque ad Arona nel 1538. L’aristocratica famiglia era originaria di S. Miniato, e il cognome originario era “Buon Romeo”. Il nome è tutto un programma, perché indica il romeo, il pellegrino che dalla sua casa si reca a Roma, presso la tomba degli Apostoli. Il grande Vescovo, tutto milanese, fu sempre obbediente e fedele al Vescovo di Roma.

Il papà si chiamava Gilberto, la mamma Margherita de Medici, sorella del Papa Pio IV. Tre sorelle Camilla, Geronima e Anna, sposarono rispettivamente Cesare Gonzaga, Fabrizio Gesualdo e Fabrizio Colonna. Questi matrimoni permettevano di imparentarsi con dinastie italiane, nel secolo della dominazione spagnola. Un’altra sorella, Corona, divenne monaca.

Il giovane Carlo, come si usava allora, a sette anni divenne Abate ad Arona. Sempre appassionato degli studi, aveva il diversivo della caccia, solo per non sentirsi emarginato in una società dove l’uccisione degli animali dei boschi era considerato uno sport di spicco. Intraprese la carriera ecclesiastica, ma senza giungere inizialmente al sacerdozio. Il clima del Concilio di Trento, portò grande rinnovamento nella Chiesa, con la nascita di nuove famiglie religiose, i Gesuiti, i Barnabiti, i Teatini etc. con l’ispirazione alla primitiva comunità cristiana.

A Roma, ufficialmente dal 1471 viveva una colonia di milanesi attraverso un sodalizio. Architetti, scultori, fonditori,  orafi e mercanti avevano compiuto una piccola conquista della capitale.

Carlo ne rimase attratto e dopo la morte del fratello Federico, chiese di essere ordinato sacerdote. Amministratore della diocesi di Milano, in breve tempo divenne Vescovo. Avrebbe potuto governare la Chiesa ambrosiana attraverso un prelato di fiducia, ma volle rimanere con il gregge a lui affidato. Non volle essere solamente un dignitario, ma un pastore. Milano, all’epoca, come oggi, era una delle diocesi più grandi del mondo, per la tradizione ambrosiana, con rito proprio. Si estendeva addirittura alla Svizzera. Quest’antica appartenenza è attualmente ricordata da alcune parrocchie della diocesi di Lugano che seguono il rito di Milano.

S. Carlo fu il riformatore, attraverso l’erezione di Seminari per la formazione dei futuri sacerdoti e non solamente per lo studio delle materie umanistiche. I sacerdoti per lui dovevano costituire un corpo intorno al Vescovo e dovevano essere servi, padri e angeli. Servi del Vescovo, padri delle animi, e angeli perché votati alla castità per il Regno di Dio. Volle anche un corpo di sacerdoti, gli oblati diocesani, coadiuvati dai laici, per provvedere alle necessità della Chiesa particolare. Preti che vivevano come i religiosi, in comunità, ma sotto la giurisdizione del Vescovo. Esempio seguito nella vicina Novara, nel cui territorio attualmente ricade la città di Arona.

Promotore della religiosità popolare, a dispetto della praticità degli ambrosiani, attraverso queste forme volle contrastare le frivolezze del Carnevale. Nel clima borromaico si diffuse la Pia Pratica delle Quarant’Ore, negli ultimi giorni di Carnevale, per distogliere la gente dai divertimenti pesanti e illeciti. Promosse inoltre i pellegrinaggi, come quelli alla Sindone e al Sacro Monte di Varallo, nato per collocare in Occidente angoli di Terra Santa e come antidoto alla Riforma, molto attiva nei Paesi d’Oltralpe.

L’esempio austero di S. Carlo non andava bene a preti e frati rilassati, e per questo un religioso gli provocò l’attentato con l’archibugio. Si adoperò in tutto e per tutto per gli appestati e contrasse la malattia, proprio nell’assistenza. Sorella morte lo raggiunse nel 1584.

Acclamato Santo dal popolo, prima della Chiesa, la canonizzazione arrivò nel 1610. A Roma divenne eponimo di tre centralissime chiese, comprese (almeno una) nelle visite di turisti di tutto il mondo: S. Carlo alle quattro fontane, S. Carlo ai Catinari e S. Carlo al Corso. Quest’ultima è la chiesa regionale dei lombardi, cara a S. Giovanni XXIII, in quanto figlio della Lombardia e al Vescovo Clemente Riva, impegnato nell’ecumenismo, all’indomani del Concilio Vaticano II. Da rosminiano, volle rimanere nella casa religiosa anche quando S. Paolo VI lo volle Ausiliare della città eterna.

A Milano gli fu eretta una chiesa abbastanza vicina al Duomo (dove è sepolto), e diverse furono le chiese di cui è eponimo in tutto il territorio nazionale e anche all’estero. Nel IV° centenario della morte, Arona fu visitata da S. Giovanni Paolo II, devoto del Santo Borromeo in quanto fu battezzato con il suo nome, accompagnato da un altro Carlo, l’allora Arcivescovo di Milano Card. Martini.

Arona gli ha eretto la grande statua, alta 28 metri, per ricordare la sua grandezza nella verità e nella carità verso tutti, specialmente gli ultimi e gli esclusi.

SANTINO VERNA