Il calore dei ricordi

LA SETTIMANA SANTA ATRIANA

Il sabato santo era all’insegna di due eventi: il digiuno al mattino e benedizione del cibo. La mattina del sabato santo era tradizione fare il digiuno. Le nostre mamme erano rigorose nel far rispettare questa tradizione, non potevi neanche avvicinarti, anzi non era neanche preparata. Io bimbetto che mangiavo tanto alle 10,00 avevo una fame da lupo che non vi dico. Però si resisteva e si arrivava fino a pranzo. Nel frattempo ’Ntogn passava con il tric-trac per ricordare l’ora e le funzioni religiose. Noi bimbi continuavamo nei nostri giochi, non per mancanza di rispetto verso ’Ntogn, a cui sinceramente volevamo bene e non gli abbiamo mai fatto uno scherzo.

Il pomeriggio (o la domenica mattina presto) si pensava alla benedizione delle vivande. Le mamme preparavano il tutto e messo in un contenitore ricoperto con un telo. Il compito era sia per noi maschietti che per le sorelle.

Un anno (tra il 53 o il 54) mentre giocavamo mia madre mi richiamò, bisognava ubbidire senza commentare. Dovevo sostituire mia sorella Lina, che serviva a casa, per la benedizione delle vivande. Mia sorella era andata ma nessuna tra S. Nicola, S. Francesco, S. Rocco e Santa Rita quel pomeriggio benediceva. Alla fine siamo andati, un cinquantina di ragazzi, a Santa Chiara, dove il canonico, professor Luigi Illuminati celebrò la messa e benedisse le vivande. Così quel giorno mi trovai a fianco anche Massimo Spezialetti.

Cosa si portava a benedire: 1) la pizza di Pasqua con le uova lesse, oppure il cavalluccio o il cane per i maschi e le bambole per le donne con incastonato l’uovo cotto al forno, fettine di salame; 2) cipolla, porro, rosmarino, pecorino, carote, etc. La domenica mattina, tutta la famiglia insieme, dopo la preghiera di rito, la colazione con alcune vivande benedette mentre le altre servivano per i pasti del giorno.

la  mattina tra la messa e la visita per gli auguri ai parenti. Insieme con mia sorella Lina, poi si aggiunse Concetta, si andava dagli zii e dall’unico nonno. Si racimolava qualche lira e qualche biscotto. Mio nonno mi dava sempre 10 lire quello con l’aratro e la spiga di grano.

Il pranzo di Pasqua era quello classico e tradizionale, ogni anno lo stesso pranzo,: antipasto all’atriana (prosciutto, lonza, pecorino, un pezzetto di burro e sottoaceti); brodo di gallina con la cicoria; maccheroni alla chitarra; agnello cac’e ov oppure arrosto; un dito di vino e un dolce. le uova di cioccolato non sapevamo neanche che esistessero, poi dal nord arrivò la colomba ma negli anni 70. Chi sa da quanti secoli esiste questo pranzo atriano e mia madre era una fedele custode di tutte le tradizioni.

Lunedì di pasquetta. Classica gita fuori porta, come si chiama a Roma. Ad Atri si andava alla Cona. Si partiva da porta Macelli a piedi, solo pochi si potevano permettere il lusso si farsi accompagnare con la macchina, 4 Km all’andata e 4 Km al ritorno per andare alla festa della Madonna delle Grazie. Allora si passava dalla strada vecchia perché quella per l’ospedale non c’era ed era tutta campagna.

Per Atri non era una scampagnata di pasquetta ma la festa della Cona. La festa della Cona era la classica festa di quel periodo con la banda, la processione qualche bancarella di noccioline e di lupini.

Alla Cona venivano anche quelli Di Silvi. Spesso tra un bicchiere di vino rosso e l’altro si finiva con la rissa tra quelli i Atri e quelli di Silvi.

Martedì puntuali si tornava a scuola senza scuse e senza ritardi.

Nicola Dell’Arena