Pubblicato Sabato, 11 Aprile 2020
Scritto da Santino Verna

L'EPIDEMiA DI OGGI, LA FEDE DEL PASSATO:
quando il popolo chiedeva aiuto al cielo...

SANTA RITA DA CASCIA E GLI APPESTATI

Santa invocata contro tutti i mali, compresa la pandemia, è Rita da Cascia, ricordata accanto agli appestati a Roccaporena, durante la non lunga giornata terrena. Infatti nel paese a pochi kilometri da Cascia, è presente uno stabile denominato “lazzaretto”. Non era soltanto luogo di ricovero degli appestati, ma ospizio di forestieri, essendo sulla strada che da Ancona (principale porto dell’Adriatico dello Stato della Chiesa) portava a Roma. 

Il legame di S. Rita con la peste è stato indagato da Corrado Fratini, docente di Storia dell’Arte Medioevale presso l’Università degli Studi di Perugia, le cui ricerche hanno puntato i riflettori sulla scultura lignea, con riferimento alla dorsale appeninica tra Umbria e Marche.

Il nome “lazzaretto”, l’ospedale degli appestati, deriva dalla parabola del povero Lazzaro e del ricco epulone (Lc 16,19-31). Le piaghe del povero ricordavano quelle degli appestati. Il primo lazzaretto della storia, nel XV secolo, fu aperto a Venezia, città aperta ai traffici marittimi, quindi con i contagi sempre in agguato. Le autorità requisirono agli Agostiniani, il convento di S. Maria di Nazareth, e lo stabile divenne il primo nosocomio degli appestati. Secondo alcuni studiosi,  Lazzaro non avrebbe nulla a che vedere con il lazzaretto, ma sarebbe una storpiatura di “Nazzaretto”, per il nome della Chiesa agostiniana della laguna. Per rafforzare la tesi viene incontro la vicinanza all’Isola di S. Lazzaro, attualmente centro contemplativo e culturale dei Mechitaristi.

Rita da Cascia, conosciuta con il nome della cittadina di adozione, era nata alla fine del XIV secolo, quando il ricordo della peste nera era ancora vivo in Europa. I genitori Antonio e Amata Ferri, benestanti, grazie alla condizione economica potevano esercitare la funzione di pacieri, ovvero erano incaricati, per la rettitudine morale, di riconciliare le fazioni cittadine. Cascia era un centro abbastanza turbolento in quel tempo, perché si trovava sul confine tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli.

La figlioletta si sentiva chiamata alla vita monastica, ma i genitori non acconsentirono, essendo figlia unica. La diedero in moglie ad un violento che divenne mansueto, grazie all’esempio e alla pazienza di Rita. L’uccisione dello sposo e la morte prematura dei due figli, diedero alla Santa casciana la possibilità di entrare in Monastero, anche se dovette vincere le resistenze delle monache, essendo vedova. Rita voleva diventare agostiniana, avendo conosciuto questa spiritualità sin da ragazza, perché i religiosi ispirati al Vescovo di Ippona, avevano reso l’Umbria la nuova terra di S. Agostino, soprattutto dalla seconda metà del XIII secolo, essendo l’Africa proconsolare ormai luogo musulmano.

Da monaca, S. Rita continuò a prestare assistenza agli ammalati, perché il Monastero, pur essendo claustrale, dava la possibilità di uscire per i servizi della comunità e la vicinanza agli infermi. La rigida clausura sarà presente solo a partire dal XVI secolo. Per meglio descrivere la nuova condizione, le monache vennero dette popolarmente “murate”.

Certamente S. Rita, con la spina della Passione sulla fronte, si mise in cammino da Cascia nell’Anno Santo 1450, per incontrare il Papa Nicolò IV. E forse fu il primo contatto indiretto con Atri, perché il clima della canonizzazione di S. Bernardino da Siena, aveva portato all’attenzione di molti il compilatore del processo, il Vescovo Giovanni da Palena, di Atri e Penne.

La spina scomparve per il pellegrinaggio, ma non il dolore. Ricomparve quando rientrò in Monastero. Passata all’altra riva nel 1457 e acclamata Santa dal popolo, beatificazione e canonizzazione arrivarono in ritardo. Si dovrà attendere il 1626 per la beatificazione, compiuta da Urbano VIII, in precedenza Vescovo di Spoleto, nel cui territorio ricadeva Cascia (e di nuovo vi ricade dal 1986), con la supplica del suo stretto collaboratore Cardinal Fausto Poli, originario di Usigni.

La beatificazione fu promossa anche dalla presenza di casciani nella città eterna, supportati dai nursini, operanti nella Chiesa dei SS. Benedetto e Scolastica all’Argentina, nelle vicinanze del Pantheon e di S. Maria sopra Minerva. Gli Agostiniani ebbero la possibilità di celebrarne la memoria nelle loro chiese e questa fu estesa anche ai diocesani.

Il miracolo determinante per la canonizzazione riguardò Cosma Pellegrini di Conversano, guarito da una malattia che alla fine del XIX secolo era molto più grave di oggi. Nella città della Terra di Bari, S. Rita era venerata e l’umile devoto si era rivolto alla sua intercessione. S. Rita veniva canonizzata nella Basilica Vaticana da Leone XIII, già Vescovo di Perugia, il 24 maggio 1900. A Roma il Santuario della Santa degli impossibili si trova nelle vicinanze di Fontana di Trevi, con tanto di benedizione e distribuzione delle rose nel giorno della festa. Quasi ogni chiesa capitolina, ha una piccola statua della Santa, all’ingresso della navata, insieme a S. Antonio di Padova.

Le spoglie di S. Rita, però, nel Grande Giubileo del 2000, sono passate, per arrivare a S. Pietro, nella Chiesa di S. Agostino a Campo Marzio. Dal 2002 l’annuale memoria è stata introdotta nel Messale romano. E ora S. Rita protegge tutti dal coronavirus.

SANTINO VERNA