Pubblicato Giovedì, 30 Gennaio 2020
Scritto da Santino Verna

UN CULTORE DELLE NOSTRE TRADIZIONI

GIUSEPPE ANTONELLI: SCULTORE E DEMOLOGO ATRIANO

Il 30 gennaio 2008 nasceva al Cielo, lo scultore Giuseppe Antonelli. Sarà ricordato domenica prossima, 2 febbraio, nella Chiesa di S. Chiara, con una S. Messa alle 9. Quest’anno ricordiamo Peppino in modo speciale nel centenario della nascita.

Era infatti nato ad Atri, il 19 marzo 1920 e gli era stato imposto il nome di Giuseppe, perché solennità del padre davidico di Gesù. La festa era molto sentita nella cittadina ducale, perché si svolgeva la processione per le vie di Capo d’Atri, con il simulacro custodito nella Chiesa di S. Nicola. Complice il terremoto di tre anni fa, dovendo ricoverare la statua di S. Rita, S. Giuseppe è uscito dalla nicchia e collocato accanto all’ingresso della sacrestia. La preghiera di parrocchiani e visitatori si è prolungata, perché tutti hanno potuto sfiorare con le mani il padre nutrizio del Signore.

Peppino ha trascorso tutta la vita ad Atri. Era profondamente innamorato della città natale, anche se era serenamente e seriamente critico. Voleva la valorizzazione della cittadina, e lo spiccato senso artistico, amplificava la discussione.

Allievo di Luigi Tascini, nell’ex-Scuola di Arti e Mestieri, presso il Collegio dei Gesuiti, Peppino ha coltivato nel tempo la scultura, esercitandosi nell’industria cementizia, avviata dal fratello Eugenio e portata avanti dal medesimo e dall’altro fratello Cav. Ugo, con il cugino Andrea Marcone. Eugenio era lo storico organizzatore della festa di S. Rita e nell’edizione del 1946, quando l’uscita dalla guerra consigliava un cartellone con pochi numeri, Peppino fu presente con alcune opere, al Teatro Comunale.

Nel 1975, agli sposi novelli Nino Bindi e Rosi Fierli, donò la scultura del coretto abruzzese. Una piccola composizione dove i pochi elementi misti attorno alla fisarmonicista esprimono in un batter d’occhio la gioia del canto e della socializzazione. L’opera, quattro anni dopo, divenne la copertina del primo LP del coro folkloristico, diretto dal Prof. Alfonso Bizzarri, all’apice della terza fase d’oro del canto popolare d’autore in Abruzzo.

Per interessamento di Nino Bindi, Assessore alla Cultura del Comune di Atri, alcune sculture di Peppino divennero bronzetti, anche grazie all’elogio di Serafino Vecellio Mattucci che volle confrontare il coretto abruzzese con la facciata della Cattedrale. L’antologia di Giuseppe Antonelli fu presentata, a conclusione dell’estate atriana, nel 1996, al Teatro Comunale. Era presente l’attore Carlo Delle Piane, recentemente scomparso, perché Atri in quei giorni era il set del film “Ti amo Maria”, proiettato l’anno seguente in Piazza duchi d’Acquaviva. I bronzetti vennero esposti nel ridotto del Teatro, luogo molto caro a Peppino, prima della collocazione definitiva nel piano superiore di Palazzo Acquaviva.

L’inclito scultore racconta, attraverso le composizioni, la storia atriana della prima metà del XX secolo. Un microcosmo pieno di tradizioni popolari e di personaggi “felliniani”. Entrambi del rione S. Domenico, pullulante di piccole abitazioni, con il sottofondo olfattivo della liquirizia, Vincenzo Marcone e Muzio Martella. Vincenzino, rispettoso e scherzoso, con l’innocua irriverenza di giocare con le tende del presbiterio di S. Francesco. Muzio, con il mito di Coppi e Bartali, il cui quotidiano incontro con Peppino avveniva quando dalla casa nel vicolo, ora con il suo nome, si recava in Piazza.

Gli altri personaggi, non tutti fermati nell’argilla, erano presenti nei racconti orali di Peppino. Le cattedre dell’antropologia sul campo erano i portici del Circolo dell’Unione, le sedie all’ingresso del Teatro, il fianco meridionale di S. Maria, ad un tiro di schioppo dalla Porta Santa, il cui rito dell’apertura, prima del solenne ripristino, aveva tra i pochissimi fedeli, proprio Peppino.

Il maestro è presente anche nell’opera vernacolare di un altro atriano, recentemente scomparso, Antonino Anello. Nell’antologia “Lu ‘ttavette”, la prima poesia “Lu sugne” tra i tanti personaggi, alcuni ancora viventi, nella gremita Cattedrale, c’era pure Peppino. Mentre il suo papà, il sacrista Tommaso, è nel componimento “Li cinque cruce”, ambientato nel sottempio della Cattedrale.

Con il pronipote e allievo Ugo Assogna ha allestito due mostre, nel 2005 e nel 2006 e imago brevis della sinergia tra i due artisti atriani, i busti del Beato Rodolfo e di Publio Elio Adriano. Il primo fu benedetto nel 2004 dall’indimenticabile Arcivescovo Vincenzo D’Addario, il secondo, tre anni dopo, fu collocato nella nicchia del palazzo vescovile, perché “biglietto d’ingresso” per il visitatore che dagli stalli di sosta vicino alla villa comunale s’immerge nel centro storico.

La mia amicizia con Peppino risale al 1987, durante una gita domenicale comprendente Loreto, Urbino, S. Marino e Riccione. Fu l’anno della Prima Comunione, della scoperta dell’Armenia restituita dal vecchio televisore a colori con la manopola dei canali incorporata, dell’incontro a Padova, nella Basilica del Santo e la mattina seguente a Via Cesarotti, con Padre Fulgenzio.

Con il Maestro Peppino per tanto tempo si parlò di quella gita tra le Marche e la Romagna, nell’Italia spensierata pronta a liberarsi dall’incubo della cortina di ferro. Qualche anno dopo avrebbe voluto partecipare alla processione del Cristo Morto a Chieti, ma alla fine rinunciò perché non avrebbe lasciato Atri, la sera del Venerdì Santo. Il suo esempio sarebbe stato seguito dalla maggioranza dei concittadini per seguire la teoria nel buio di primavera. Al rientro della processione, Peppino avrebbe seguito Chieti da una delle reti commerciali.

Senza Peppino Antonelli, non abbiamo la colonna portante delle tradizioni atriane. Siamo certi che ci illumina dal Cielo ed è in buona compagnia. Non abbiamo la chiarezza, ma abbiamo la certezza.

SANTINO VERNA