Pubblicato Sabato, 11 Gennaio 2020
Scritto da Santino Verna

UNA PERFETTA LOCATION PER IL SANT’ANTONIO (ABATE)  A PADOVA

UNA FESTA CARA AGLI ABRUZZESI NELLA CITTA' DEL SANTO

La festa di S. Antonio Abate è particolarmente sentita in Abruzzo e dove vivono gli abruzzesi. Padova, nel corso della storia ha accolto, alla spicciolata o in gruppo, diversi uomini e donne provenienti dalla terra inclusa fra il Tronto e il Trigno, richiamati dall’ateneo o dalle armi oppure dal lavoro e dal commercio. Dal 1979, grazie all’atriano di S. Margherita, Armando Traini, attraverso il sodalizio abruzzese-molisano, la presenza dell’Abruzzo ha maggiore visibilità.

Una delle feste identitarie di socializzazione e promozione umana, è quella di S. Antonio Abate, patrono morale della regione, la cui devozione si diffuse maggiormente nel Medioevo, perché ritenuto uno dei più grandi lottatori contro il maligno, al quale erano attribuiti calamità e disastri. Il Concilio di Trento rinnovò questa devozione, perché lo propose come asceta e testimone del Vangelo di grande levatura.

La festa di S. Antonio (Abate, non di Padova, perché c’è ancora qualcuno che confonde i due Santi, fondendoli nella stessa persona, da giovane e da anziano), non rispetta quasi mai la data calendariale del 17 gennaio, perché slitta al sabato seguente o alla fine di gennaio (se non addirittura a febbraio), tenendo presenti gli impegni dei soci. S. Antonio, pertanto, prende lo stesso periodo di S. Sebastiano e S. Biagio, molto venerati in Abruzzo, rispettivamente protettori contro la polmonite e il mal di gola, due mali tipicamente invernali.

S. Antonio Abate, a Padova, dal sodalizio, è festeggiato presso il Circolo Unificato Ufficiali, a Palazzo Zacco, uno dei non pochi stabili del Prato della Valle, una delle piazze più grandi d’Europa. Nelle vicinanze del palazzo una lapide riporta il sonetto di Gabriele D’Annunzio, sulla città di Antenore.

Palazzo Zacco per 12 anni, poco prima dell’Unità d’Italia, ospitò il Collegio Moorat, per la formazione degli armeni. A Padova è tuttora presente e operante, una piccola comunità dell’antico popolo intriso del sangue del genocidio (1915). La rinascita culturale e sociale del popolo armeno fu posto sotto la protezione di S. Antonio Abate, padre di tutti i monaci, venerato nella Chiesa Romana e di Bisanzio. Singolare coincidenza, il 17 gennaio è collocato sul vestibolo della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e da qualche anno, proprio il giorno di S. Antonio, si tiene la giornata per l’approfondimento del dialogo ebraico-cristiano.

La rinascita dell’Armenia, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto religioso, si deve all’Abate Pietro Manuk Mechitar, nel XVIII secolo, quando rifondò il monachesimo della sua terra, in comunione con la Chiesa di Roma, sul sentiero di S. Antonio Abate. Dato però che l’eremita egiziano non aveva scritto una Regola, doveva scegliere tra S. Basilio, S. Benedetto e S. Agostino. Per maggior legame con l’Occidente, scelse quella del futuro patrono, S. Benedetto da Norcia.

I Monaci di Mechitar si stabilirono prima nel Peloponneso, per poi trasferirsi, grazie alla protezione della Serenissima, sull’isola di S. Lazzaro, antico lebbrosario come si evince dal nome. L’isola della laguna divenne ben presto centro per gli studi patristici, liturgici, storici e filologici. Forte impulso fu dato all’apostolato delle comunicazioni sociali, con la nascita di una tipografia. Dagli studi armenistici, breve il passaggio a quelli orientalistici.

I due poli veneti della cultura armena, erano il Collegio “Raphael” a Venezia e il “Moorat” a Padova. Nel 1846 quest’ultimo fu trasferito a Parigi, per sostenere e diffondere la cultura armena in una delle principali capitali d’Europa. L’isola di  S.Lazzaro rimase importante centro, visitato dall’allora Patriarca Angelo Giuseppe Roncalli, sensibile al dialogo con le Chiese d’Oriente, non solo sulla cattedra di S. Lorenzo Giustiniani, ma anche su quella di S. Pietro con il nome di Giovanni XXIII. Nel complesso di S. Lazzaro, fresco di nomina, conobbe il giovane Don Loris Francesco Capovilla, direttore del settimanale diocesano, in seguito segretario del Pontefice, a Venezia e a Roma.

La festa di S. Antonio, organizzata dal sodalizio presieduto da Armando Traini, ha il concorso dei tanti abruzzesi residenti a Padova e in Veneto e di qualche abruzzese, amico della compagine, invitato dal presidente. E’ anche occasione per un fine settimana a Padova, con il pungente freddo e la fitta nebbia, tra le navate della Basilica del Santo, una passeggiata per le vie della città, un’occhiata, anche solo esterna, alla Cappella degli Scrovegni, un cioccolato caldo al Pedrocchi.

La serata al Prato, oltre alla rappresentazione musicata e ai canti del S. Antonio, nelle tante versioni abruzzesi, popolari (se non c’è autore) o rielaborati da poeti locali, in vernacolo o in lingua, ha una conferenza e un aggiornamento delle attività del sodalizio. La kermesse del solstizio invernale si conclude con la cena, dove le delizie arrivarono direttamente dall’Abruzzo. Per una volta si può rinunciare ai bolliti veneti, e a dolci carnacialeschi come buranelli e galani.

Tutto non finisce con il commiato della cena conviviale, perché presto ci sono altri appuntamenti culturali del sodalizio, sotto la protezione di S. Antonio di Padova, ma anche di S. Antonio Abate, perché l’allora sconosciuto agostiniano di Lisbona, Fernando Buglione, assunse in religione il nome di Antonio, africano, a dispetto (il Taumaturgo lusitano era di grandi vedute) di quanti dipingono Padova poco accogliente verso gli stranieri.

SANTINO VERNA