Pubblicato Lunedì, 25 Novembre 2019
Scritto da Santino Verna

UN’ICONOGRAFIA PER IMMAGINI:
LA STATUA DI S. ANTONIO ABATE IN ATRI

La recente conferenza sulla monografia dell’antico convento di S. Antonio Abate, già dal manifesto, ha sollecitato l’attenzione verso un cimelio proveniente dall’omonima demolita chiesa: il simulacro di S. Antonio Abate, custodito nel Museo Capitolare di Atri.

La statua (XVI sec.) in legno dorato, scolpito e dipinto, non è in testa alla classifica delle opere conservate nel primo museo atriano in ordine di tempo. Il simulacro rappresenta S. Antonio Abate nell’iconografia tradizionale occidentale, in trono, e in un batter d’occhio viene incasellato nell’ambito storico-artistico. Non appartiene all’ambito demoetnoantropologico, anche se di rimbalzo, appartiene a questo settore.

E’ stato musealizzato in forma permanente, a differenza di altri cimeli, oggetto di culto, come il busto di S. Reparata, di Valerio e Teodosio Ronci (XVII sec.), esposto in Cattedrale per l’annuale festa e portato, con le reliquie, in processione, nei Secondi Vespri della solennità. Mentre, recentemente, la tela della Madonna tra i SS. Gioachino e Anna (XVI sec.) è tornata alla collocazione originaria, presso l’altare Acquaviva, all’ingresso destro della Cattedrale. Anche se la vera originaria collocazione era in fondo alla navata destra, tra il presbiterio e l’ingresso laterale di S. Reparata.

L’Abruzzo conta un’immensità di statue di S. Antonio Abate, presenti nelle chiese o collocati in sacrestie e soffitte. Pronte però per l’esposizione e la processione nei giorni della festa, sfidando il clima rigido dell’inverno. Il Santo è rappresentato nella maggioranza delle soluzioni, in posizione stante, come gli altri testimoni della fede. E sempre nell’iconografia occidentale, con lunga tunica scura o chiara, bianca bianca prolissa, bastone alla cui estremità è fissato il campanello, vampa di fuoco e maialino. Forse quest’ultimo risulta l’attributo per antonomasia di S. Antonio Abate, ma anche l’elemento che lo ha legato all’Abruzzo, terra agrosilvopastorale e marginalmente marinara, dove il maiale costituiva una delle principali risorse della dispensa.

La cattedra rappresenta la dignità abbaziale di Antonio, e per questo vengono rappresentati seduti Vescovi e Abati. Un altro esempio ad Atri lo abbiamo, nel portale della Chiesa di S. Agostino, dove al centro è rappresentato il Vescovo di Ippona, secondo l’iconografia medioevale, mitrato in cattedra. Eponima della Chiesa è S. Caterina d’Alessandria, ma quest’ultima risulta in posizione laterale, lasciando la centralità all’ispiratore della famiglia mendicante che ha retto quella chiesa.

La cattedra per tantissimo tempo, nella liturgia, ha avuto funzione di riposo. E’ stata ripristinata dal Concilio Vaticano II nella sua funzione vera e propria. E’ il luogo dell’insegnamento del maestro e il Vescovo ha il “munus docendi”. A livello pratico e funzionale, la cattedra assume indirettamente anche una funzione di riposo, ma è esplicativa anche quando il Vescovo non presiede e al di fuori delle celebrazioni. La cattedra, non più con l’aspetto di trono, quasi evocativo di uno stallo regale o principesco, denomina la principale chiesa della diocesi. Ad Atri la Basilica di S. Maria, la chiamiamo affettuosamente e devotamente “Santa Maria”, ma non di rado la chiamiamo “Cattedrale”. L’informatore religioso alle prime armi o il novello diplomato in scienze religiose, tende a precisare dicendo “Concattedrale”, ma nella sostanza rimane la Chiesa del Vescovo.

L’Abate, padre dei monaci, come S. Antonio, è equiparato al Vescovo, e ancor più, quando è Ordinario, ovvero esercita giurisdizione quasi episcopale su un piccolo territorio, dove l’abbazia ha funzioni cattedralizie, vi sono curia, seminario, parrocchie e l’Abate è componente della Conferenza dei Vescovi. Abbiamo ormai pochissimi esempi in Italia, anche se Subiaco e Montecassino hanno avuto un ruolo molto importante nella Chiesa. L’Abate di Montecassino era più influente del Vescovo di Iglesias, come quello di Subiaco era certamente più conosciuto del Vescovo di Nicosia. E in parte, anche adesso, perché sono rispettivamente un Archicenobio e un Protocenobio.

Il Superiore Maggiore degli Ordini religiosi, non è equiparato per quanto riguarda la cattedra, al Vescovo e all’Abate. Non ha mai giurisdizione territoriale, ma è soltanto Ordinario dei religiosi. Per questa ragione, S. Antonio di Padova, Superiore Maggiore della Provincia del Nord Italia (curiosamente quella che abbiamo adesso da Aosta a Rimini, geograficamente parlando), è raffigurato in posizione stante, perché oltre alla santità e alla bellezza dell’intramontabile messaggio di fede e di carità, Antonio è ricordato ufficialmente come sacerdote e dottore della Chiesa. Il provincialato è quindi un aspetto amministrativo del prezioso servizio alla Chgiesa e all’Ordine.

Ancora una volta l’iconografia viene incontro alla spiegazione di concetti ecclesiastici, forse un po’ aridi per alcuni, ma certamente molto importanti per la storia, piccola o grande che sia.

SANTINO VERNA