VIAGGIO NELLA VITA CONSACRATA (9)

GLI ISTITUTI SECOLARI

Senza conventi, ma con Dio nel cuore

Forma di consacrazione nel secolo, ovvero nel mondo, sono gli istituti secolari, diversi dalle famiglie religiose. In queste è fondamentale la vita comune. Tre sono le parole-chiave degli istituti secolari: consacrazione, secolarità, apostolato.

I consacrati vivono nella propria casa e del proprio lavoro. Per circa milla anni, era inconcepibile una professione monastica o religiosa senza abbandonare il lavoro. L’opus manuum così importante in ambito benedettino, e anche in altre famiglie religiose, per partecipare all’opera creatrice di Dio e vincere l’ozio, nemico dell’anima, permetteva di lavorare all’interno dell’abbazia, ma non in luoghi profani.

Una forma di consacrazione era il Terz’Ordine, avviato da S. Francesco, per dar la possibilità a tanti secolari, uomini e donne, sposati o vedovi, con professioni o mestieri, di vivere la spiritualità serafica, sotto la direzione del Primo Ordine, con il sostegno orante del Secondo. In questo modo l’Ordine di S. Francesco abbracciava proprio tutti. I terziari, in alcune situazioni, portavano l’abito, segno esterno di appartenenza al Terz’Ordine, e uno dei momenti più solenni erano le processioni.

Terziaria domenicana, era S. Caterina da Siena. Nell’iconografia, ad es. nella sacra immagine della Madonna di Pompei, è rappresentata in veste monastica, da domenicana del Second’Ordine, invece, proprio per servire il Signore, nelle membra sofferenti, appartenne al Terzo, detto delle “Mantellate”.

L’abito del terziario non va confuso con il “famulato”, consuetudine di indossare l’abito religioso di un Santo (S. Francesco, S. Antonio, S. Gabriele etc.), ad un bambino, per ringraziare il Signore di una guarigione avvenuta per intercessione del testimone della fede. La veste era portata per un determinato periodo, e talvolta lo indossavano pure gli adulti. Tale tradizione non comportava riprovazione sociale, perché la società era molto più religiosa di oggi.

L’exploit degli istituti secolari si ebbe alla fine del XIX sec. con Leone XIII. Il Papa aveva perso da poco il potere temporale, con la presa di Roma e il completamento dell’unità d’Italia, e forti erano le conseguenze della rivoluzione francese. Gli Ordini religiosi avevano vissuto in quel secolo, due soppressioni e con tanto sacrificio stavano rinascendo le giurisdizioni.

Tra gli istituti ricordiamo la Compagnia di S. Paolo, nata nel 1920, a Milano, per volere di Don Giovanni Rossi, sacerdote ambrosiano, segretario particolare dell’allora Arcivescovo Andrea Carlo Ferrari, entrambi operanti nella bufera del modernismo. Per combattere la secolarizzazione tra gli intellettuali, nasceva in quegli anni l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sempre a Milano, e per quella tra le classi operaie, nacque l’opera ispirata all’Apostolo delle Genti.

Don Rossi comprese il problema dell’emigrazione, e portò il Vangelo, assieme ad altri laici, in Argentina, Francia e Belgio. Apparteneva alla Compagnia di S. Paolo, Don Stefano Gobbi, fondatore del Movimento Sacerdotale Mariano.

All’ombra della Cattolica, nacque l’Opera della Regalità, fondata da P. Agostino Gemelli, inizialmente legata al Terz’Ordine Francescano, con la direzione dei Frati Minori, l’Ordine del fondatore dell’ateneo cattolico della città manzoniana. L’Opera voleva promuovere il Regno di Cristo, nell’atmosfera spirituale sostenuta da Pio XI, il Papa allora regnante. Grazie a Papa Ratti fu istituita, nel 1925, la festa di Cristo Re, fissata all’ultima domenica di ottobre, e poi trasferita, da S. Paolo VI, nell’ambito della riforma conciliare, all’ultima domenica dell’anno liturgico.

All’opera di P. Gemelli fu iscritto Giorgio La Pira, il Sindaco Santo di Firenze. Fu contemporaneamente terziario francescano e domenicano, quasi a ribadire che tra i Santi non esistono conflitti di interesse. Si impegnò nella causa del Vangelo, sostenendo gli ultimi e gli esclusi, attingendo agli esempi del Poverello e di S. Domenico, dimorando nel Convento di S. Marco a Firenze.

Ancora Don Giovanni Rossi, nel 1939, dato che il suo istituto si era allontanato dallo spirito delle origini, fondava in Assisi, grazie all’accoglienza dell’allora Vescovo Giuseppe Nicolini, confratello benedettino del suo Arcivescovo Alfredo Schuster, poi Beato, la Pro Civitate Christiana, ispirato a due Santi “laici” (ovvero senza sacerdozio): S. Francesco d’Assisi e S. Benedetto. L’opera voleva essere un’abbazia moderna, nel centro di Assisi.

La fondazione di Don Rossi si compone di volontari, laici senza voti, ma con promessa definitiva (analoga comunque ai voti religiosi), viventi in spirito di amicizia senza polemica, per diffondere il Vangelo, anche con i mezzi della modernità, nei crocicchi della storia. I volontari per accedere alla promessa devono compiere un corso di studi teologici.

La Pro Civitate come gli altri istituti, ha anticipato il Concilio Vaticano II, con la riscoperta del sacerdozio battesimale del popolo di Dio. La Chiesa non è composta soltanto di sacerdoti (Vescovi e Presbiteri) e religiosi, ma anche di semplici battezzati. Forse l’opera di Don Giovanni Rossi ha perso lo smalto delle origini, dove forte era l’entusiasmo per un progetto nuovo per la Chiesa e la società, ma rimane ancora un faro di spiritualità e cultura, all’ombra della Basilica di S. Francesco.

SANTINO VERNA