Pubblicato Giovedì, 19 Settembre 2019
Scritto da Santino Verna

VIAGGIO NELLA VITA CONSACRATA (7)

LE SUORE, DAL MONASTERO AI CONVENTI

Le Vincenziane:Figlie della carità, Le Ancelle della Incarnazione,
Le Figlie di S.Giuseppe, Le Figlie dei SS. Cuori di Gesù e Maria (Ravasco)

Fino all’età moderna, l’unico modo di consacrazione speciale per una donna, era il monastero, o per metonimia, il chiostro. Una forma di consacrazione nel mondo era il beghinaggio, dal colore bigio dell’abito, ma non possiamo ancora parlare di “Suore”.

Una delle prime famiglie religiose femminili di vita attiva, nel XVII sec., sono le Figlie della Carità, fondate da S. Vincenzo de Paul, in sinergia con S. Luisa de Marillac. Se il primo, con il corrispondente maschile, si impegnava per la formazione dei sacerdoti, la missione e il servizio ai poveri, il ramo femminile, era dedicato all’istruzione della gioventù e ai poveri, infermi e indigenti.

Le vincenziane, andavano a visitare i poveri, portando aiuti materiali e svolgendo lavori domestici. Gli ultimi e gli esclusi diventavano così i signori di questa famiglia religiosa, vivente nel mondo. Per questo la Chiesa delle Figlie della Carità era la Parrocchia, fermo restando l’oratorio all’interno dell’istituto. Non esisteva più la spaziosa e solenne Chiesa del Monastero come la Basilica di S. Chiara ad Assisi e la Chiesa dell’Annunziata a Vallegloria di Spello.

Le Figlie della Carità adottarono un abito diverso dalle Monache. Una veste abbastanza simile alle donne francesi del XVII sec. con la caratteristica cuffia che sarà, popolarmente, il loro nome “cappelloni”. Con le mutate esigenze di vita, e il soffio del Concilio Vaticano II, la bianca cuffia sarà sostituita dal più comune velo scuro.

Un servizio espletato con cura e dedizione, l’assistenza infermieristica. Per dare il conforto spirituale, umano e professionale agli infermi, le Suore sono sempre angeli preziosi negli ospedali. Per di più in tempi con il servizio ospedaliero non ben definito, e un lavoro da molti scartato.

Altra famiglia religiosa femminile (impossibile elencarle tutte), sul sentiero delle Figlie della Carità, le Ancelle dell’Incarnazione, nate nel 1949 a Chieti, dopo una fruttuosa esperienza al sanatorio “Forlanini” di Roma. L’aspetto della congregazione è la possibilità di accedere alla vita religiosa, anche alle aspiranti con problemi di salute o postumi di malattia.

Sono inserite nel fiume della carità, con la luminosa guida di S. Camillo de Lellis e S. Giovanna Anthida Touret. Il servizio specifico è quello ospedaliero.

La Congregazione delle Figlie di S. Giuseppe, nascono, invece, alla fine del XIX sec. nel Piemonte secolarizzato, segnato dal lavoro per l’Unità d’Italia. Nel carisma si inserisce l’assistenza e il sostegno alle giovani, timidamente inserite nel mondo del lavoro, con le tante insidie, soprattutto se da sperduti paesi della regione si recavano a Torino. Uno dei servizi più richiesti era quello nelle famiglie facoltose, per governare la casa.

Le “Giuseppine”, hanno nel carisma la preparazione delle ostie per la S. Messa e il ricamo di biancheria d’altare e paramenti sacri. Un tempo questo servizio era affidato alle Monache oppure a laiche, sotto la vigilanza del Parroco, munite di “ferri” per le particole, quando diventava difficile, soprattutto in inverno, raggiungere il Monastero.

Quando il Beato Clemente Marchisio si presentò a Leone XIII per l’approvazione dell’istituto, Papa Pecci esclamò: “Finalmente il Signore ha pensato un po’ a se stesso”, sottolineando la necessità del decoro della casa del Signore. La congregazione fu messa sotto la protezione di S. Giuseppe, patrono dei lavoratori, legato profondamente al Mistero dell’Eucarestia, perché lui è stata la prima patena di Gesù Bambino, cullandolo nelle sue ruvide e callose braccia. Il padre nutrizio di Gesù, nel 1870 dal Beato Pio IX, era stato dichiarato Patrono della Chiesa Universale e il pane per l’Eucarestia, come arredi e suppellettili, sono fondamentali per la Chiesa. Senza dimenticare, tante vocazioni al sacerdozio, alla vita religiosa e missionaria, nate proprio grazie al decoro liturgico.

Coeve delle Figlie di S. Giuseppe, le Figlie dei SS. Cuori di Gesù e Maria, comunemente dette “Ravasco” dal cognome della fondatrice, la Beata Eugenia, milanese di nascita e genovese di origine e formazione, la cui Congregazione ebbe l’ispirazione proprio nella Genova povera del XIX sec.

Come le Monache, le Suore, cambiavano nome fino al Concilio Vaticano II. Con la professione religiosa, il passato non contava più, si era nuova creatura, quindi si cambiava nome, come del resto fu per S. Antonio di Padova. Il Vaticano II, giustamente, ha ribadito l’importanza del Battesimo, primo Sacramento e porta dei Sacramenti, dove diventiamo figli di Dio. E per questo, anche nella vita religiosa (monastica o di vita attiva) si mantiene il nome di Battesimo.

In alcune Congregazioni, si mutava anche il cognome, assumendone uno “spirituale”, come Teresa d’Avila diventata Teresa di Gesù e l’altra Teresa, del Volto Santo e di Gesù Bambino. L’espediente serviva quando si ritrovavano in comunità, figli di famiglie aristocratiche accanto a quelli della classe subalterna. Per ribadire l’uguaglianza, un Mistero del Signore o della Madonna, o il nome di un Santo, portava tutti ad un’altra dimensione, dove si annullano tutti i livelli, per essere una sola grande famiglia.

I trasferimenti e gli impegni missionari, con carte d’identità e passaporti, creavano confusione tra il nome anagrafico e quello di religione, allora, anche per un motivo pratico, il religioso o la suora mantengono l’identità precedente. Fondamentale è la conversione del cuore.

SANTINO VERNA