Pubblicato Venerdì, 30 Agosto 2019
Scritto da Santino Verna

VIAGGIO NELLA VITA CONSACRATA (1)

I MONACI: UOMINI CHE ABITANO IL SILENZIO

La storia e l'attualità di una antica esperienza

Il monachesimo cristiano si sviluppa, dopo l’editto di Costantino (313), quando, con la fine delle persecuzioni, la “christianitas” conobbe una certa rilassatezza. Diventava raro il martirio di sangue e allora si andava ricerca del martirio bianco, con l’ascesi nel deserto.

In Oriente, padre del monachismo è S. Antonio Abate, “il Grande”, amico dell’imperatore Costantino. Si sentì colpito dalle parole del Vangelo: “Và, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in Cielo; poi, vieni e seguimi” (Mc 10,21). Per questo si ritirò nella Tebaide e fu seguito da tanti seguaci. Non fu una fuga totale dal mondo, perché Antonio uscì dal deserto, per sostenere i cristiani perseguitati.

In Occidente, il monachismo arriva con un po’ di ritardo, grazie a S. Benedetto da Norcia, romano di adozione. Nella capitale dove era finito lo splendore dell’Impero, aveva riscontrato desolazione e povertà culturale. Si ritirò nei pressi di Roma e diede vita ad una forma di vita comune, sotto la guida dell’Abate.

Il monaco non è tanto l’uomo che vive da solo, ma come dice il nome stesso in greco, è l’uomo che ha nella testa e nel cuore, una cosa sola: Dio. E la preghiera a lui rivolta è “donami un cuore semplice” (Ps.85), presente nella Compieta.

Motto del monaco “Ora et labora”, locuzione non coniata da S. Benedetto. Sarebbe più completa dicendo “Ora, lege et labora”, perché esiste anche il lavoro intellettuale e i benedettini sono stati e sono ancora, maestri in questo campo. Il monachesimo ha salvaguardato molti classici, perché negli “scriptoria”, avveniva la copiatura dei manoscritti, anche come forma di penitenza.

In varie ore della giornata, i monaci lasciano il lavoro per recarsi in coro, sovente opera di artigianato ligneo, dei monaci stessi o di ebanisti itineranti. Si svegliano pure nel cuore della notte, per cantare le lodi al Signore. La preghiera notturna è abbreviata, dove la comunità ha impegni pastorali, come la parrocchia, annessa all’abbazia, in questo caso soggetta al Vescovo diocesano.

I monaci professano tre voti: obbedienza, cambiamento dei costumi, stabilità. Allora si potrebbe dire della mancanza di povertà e castità. Ma sono presenti nella conversione. Se si cambiano i costumi, si è anche poveri e casti, per il Regno di Dio. La stabilità implica la permanenza del monaco, per tutta la vita, in un cenobio. Ma può avvenire anche il trasferimento in un’altra abbazia, se un religioso, ad es., è richiesto per un servizio. In questo modo è salvaguarda la “stabilitas”, perché non è intesa in relazione all’edificio di muratura, ma all’Ordine monastico.

Padre dei monaci è l’Abate, superiore per tutta la vita. Alcune abbazie sono territoriali, ovvero hanno giurisdizione su alcune parrocchie intorno all’Abbazia, come una diocesi. L’Abate, pertanto, può essere eletto e consacrato Vescovo, in questo caso di una sede titolare, e anche se rimane soltanto Abate, esercita giurisdizione episcopale e può incardinare sacerdoti nel territorio. Fino a tempi recentissimi erano sei le abbazie territoriali in Italia: Monte Oliveto Maggiore, S. Paolo fuori le Mura, Subiaco, Montecassino, Montevergine e SS. Trinità di Cava dei Tirreni.

L’Abate, anche non territoriale, indossa, nelle celebrazioni, le insegne: mitra, pastorale, anello e croce pettorale. S. Benedetto, pur non essendo sacerdote, come S. Antonio Abate, è rappresentato con il pastorale, per indicare la giurisdizione.

Ogni abbazia è autonoma ed esistono congregazioni e federazioni, coordinati da un Abate Presidente. Un’abbazia può fondare altre comunità, e rimane in questo caso abbazia-madre. Questo è avvenuto, ad es., con il Santuario della Madonna dei Miracoli a Casalbordino, dove, nel 1925, furono chiamati i sublacensi di Genova. Subordinato all’Abate, è il Priore.

I benedettini indossano l’abito nero, fermato alla vita da una cintura di cuoio o da una fascia. Il colore benedettino ha avuto una certa importanza, perché ha condizionato quello del clero secolare (oggi si dice “diocesano”). Infatti, con il Concilio di Trento (1545-63) si stabilizzò l’abito talare, comune a tutti i preti secolari, con marginali varianti (differenze tra talare romana e ambrosiana, ma anche tra diverse diocesi), dove il nero indicherebbe la rinuncia alle vanità del mondo.

Alcune famiglie monastiche, indossano l’abito bianco, come i benedettini di Montevergine, Santuario mariano risalente al XII sec. quando fu fondato da S. Guglielmo di Vercelli, per sottolineare la devozione alla Madonna. Sono bianchi pure i Cisterciensi e i Camaldolesi, e i Certosini, anche se questi ultimi si differenziano ancora di più dal monachesimo benedettino classico, avendo una regola più ferrea (ad es. i monaci mantengono l’anonimato).

Per il grande impegno culturale di S. Benedetto e del suo Ordine, con tutti i vari rami, S. Paolo VI, nel 1964, dichiarò il figlio più illustre di Norcia, patrono d’Europa. Papa Montini conosceva bene i benedettini, perché a Chiari, vicino alla natia Concesio, aveva conosciuto la comunità di Marsiglia, fuggita dalla Francia secolarizzata. Si recava non di rado nella cittadina in provincia di Brescia, per unirsi ai monaci nella preghiera corale e forse accarezzò l’idea di diventare figlio di S. Benedetto da Norcia. Nei suoi non molti viaggi apostolici, S. Paolo VI si recò a Montecassino e Subiaco, e il “Nunc dimittis” fu cantato, al Congresso Eucaristico Nazionale di Pescara, nel 1977, in una terra, forgiata dallo spirito monastico e benedettino in particolare, come amava ribadire Ignazio Silone.

SANTINO VERNA