Pubblicato Lunedì, 01 Luglio 2019
Scritto da Santino Verna

NUOVO LIBRO DI ALBERTO RASETTI

"I FUOCHI RITUALI IN ABRUZZO"

Domenica 7 luglio alle 21.30, in Piazza Duomo, ad Atri, nell’ambito della XXXIIIa edizione della Atri Cup, miniolimpiade del Medio-Adriatico, sarà presentato il libro di Alberto Rasetti “I fuochi rituali in Abruzzo” edito dalla tipografia Hatria di Gian Luca Salzetta.

La scelta di Piazza Duomo per la presentazione è anche motivata dall’argomento:  tra i fuochi rituali l’autore, e non poteva essere altrimenti, analizza quelli solstiziali di Atri, i “faugni” o “fahegne” che proprio sul sagrato della Cattedrale, attualmente, hanno i punti di partenza e di arrivo, mentre è ancora notte, nella solennità dell’Immacolata Concezione.

Il Prof. Alberto Rasetti, docente di economia presso l’ITC “A. Zoli” di Atri, dopo l’attività professionale e amministrativa, è entrato nell’agone della scrittura, soffermandosi sui tesori archeologici, artistici ed antropologici della cittadina di adozione, essendo nato nella vicina Montefino. Vuole proporre le sue ricerche agli atriani, talvolta inconsapevoli delle meraviglie che possono godere quotidianamente.

Questa volta il Professore ha descritto, con il corredo di un buon numero di illustrazioni fotografiche, dove rifulge l’estro di Giuseppe Cannoni, Massimo Losacco e Antonio Assogna, i fuochi rituali della sua regione, puntando i riflettori su tre kermesse: i faugni di Atri, le farchie di Fara Filiorum Petri e il ciancialone di Silvi Paese.

I fuochi di Atri, sono i più antichi, perché risalgono all’epoca romana. Come tanti altri riti, avvenne la cristianizzazione, e nel caso atriano, i faugni furono associati alle fiaccole dei padri conciliari, all’uscita delle aule delle adunanze, al Concilio di Efeso (431), quando la Madonna fu dichiarata “Theotokos”, Madre di Dio. L’arrivo dall’attuale Turchia in Abruzzo, fu certamente facilitato dai rapporti con l’Oriente di Atri, attraverso il porto di Cerrano, attivo fino al XVI secolo.

Il Prof. Rasetti sottolinea anche la ripetizione dei fuochi dicembrini, nella festa di S. Barbara e in quella di S. Lucia. Furono i minatori del Belgio, dopo l’ultima guerra mondiale, a proporre l’accensione e la sfilata dei faugni, nella festa della loro patrona. La festa di S. Lucia, invece, era prerogativa dei fabbri, perché il lavoro nella bottega li esponeva ai pericoli degli occhi. O forse perché, per analogia con S. Biagio, i fabbri costruivano le tenaglie, strumento di tortura della vergine siracusana. Infatti, secondo la leggenda, le avrebbero strappati gli occhi, prima della decapitazione.

Altra festa del fuoco, analizzata dal docente atriano, le farchie di Fara Filiorum Petri, il cui toponimo come il paese della pasta, alle falde della Maiella, è longobardo. Il rituale del 16 gennaio è molto più recente di quello di Atri, perché risale all’invasione francese. Ma a dispetto del dato anagrafico, le torri fumanti del paesino della provincia di Chieti, hanno avuto maggior attenzione da parte di antropologi e demologici. Per certi versi sono l’alter ego dei serpari di Cocullo. Essendo l’area geografica dove avvenne la sprovincializzazione d’Abruzzo con Gabriele D’Annunzio e il Cenacolo michettiano di Francavilla, era naturale per un etnografo andare con la propria automobile, la macchina fotografica e il taccuino più a Fara che ad Atri. A questo si aggiunse, negli anni della ricostruzione postbellica, lo sviluppo di Rivisondoli e Roccaraso, stazione invernale di romani e napoletani, e breve era il passaggio verso il paese dove i fuochi ardono tutta la notte tra il 16 e il 17 gennaio.

I fuochi faresi sono legati a S. Antonio Abate, il Santo del fuoco, perché secondo la leggenda, portò il fuoco sulla terra, sottraendolo all’inferno, dove era entrato con il maialino. Antonio è il padre di tutti i monaci, amico dell’imperatore Costantino, uno dei primi Santi non martiri della Chiesa. Il suo martirio era stato l’ascesi nel deserto, da dove uscì per confortare i cristiani vittime delle persecuzioni. Avendo recuperato con l’ascesi, l’innocenza prima del peccato di Adamo, come nel giardino genesiaco, viveva pacificamente con gli animali feroci. Ad essi furono associati quelli selvatici, e si arrivò all’innocuo maialino.

Altro fuoco rituale presente nell’opera del Prof. Rasetti, il cencialone di Silvi Paese, acceso ogni anno, la fine di maggio, per la festa patronale di S.Leone, venerato nella Chiesa Madre di S. Salvatore. Il rito è collegato alle invasioni turche, nell’imminenza della battaglia di Lepanto (1571). A Pescara i turchi vennero messi in fuga da un’Acquaviva e l’episodio è ricordato in un’iscrizione nei pressi del Municipio. La torre fumante di Silvi Paese è più vicina ai fuochi di Fara Filiorum Petri che a quelli di Atri, anche se Silvi è la cittadina del circondario più legata alla città degli Acquaviva, perché in epoca moderna sostituì Giulianova come residenza estiva dell’aristocrazia atriana. Il legame si rinnovò durante la IIa guerra mondiale, quando i silvaroli sfollarono quasi interamente in Atri e nei decenni seguenti, per via del nuovo ospedale, ubicato sulla variante della statale di Atri che unisce Silvi a Notaresco. E anche “questa mattina” come direbbe Caterina Zappia, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università degli Studi di Perugia, per i rafforzati legami ecclesiali tra le due comunità.

Complimenti al Prof. Alberto Rasetti perché leggeremo ancora altre sue monografie, sempre su Atri e sul suo sgargiante vasto territorio. Ricco di valori umani e cristiani, esternati anche attraverso le tradizioni popolari dell’anno e della vita umana.

SANTINO VERNA