Pubblicato Mercoledì, 15 Maggio 2019
Scritto da Santino Verna

ATRI: SANTA RITA TORNA A CASA

UNA SANTA E IL SUO POPOLO

Il ripristino della Chiesa di S. Spirito, ad Atri, il 19 maggio, Va domenica di Pasqua, primo giorno del triduo di S. Rita, alla presenza del Vescovo Lorenzo Leuzzi, è un ulteriore passo per l’elevazione a Santuario. Per via del sisma del gennaio 2017, la Chiesa di S. Spirito è stata chiusa e la statua di S. Rita “ricoverata” presso la nicchia di S. Giuseppe, nella Chiesa di S. Nicola, a sinistra dell’altar maggiore.

Nel corso della sgargiante storia religiosa di Atri, altri simulacri sono stati traslati dalla Chiesa originaria ad un’altra: la Madonna della Salette da S. Agostino a S. Chiara, stessa soluzione per la statua giacente di S. Massimo, l’Assunta dalla Cattedrale a S. Reparata, S. Antonio da S. Francesco a S. Reparata. Ma anche trasferiti all’interno dello stesso complesso, come il simulacro giacente di S. Ercolano, collocato sotto l’altar maggiore di S. Chiara, e visibile solo per la festa, portato poi in cantoria.

Grazie a Don Matteo Baiocco D’Angelo, nuovo Parroco di S. Nicola e Canonico della Concattedrale, e ai suoi valorosi collaboratori, la Chiesa di S. Spirito è pronta per la riapertura. Le edizioni in trasferta sono state soltanto due, ma sempre grande il concorso dei devoti.

La Chiesa di S. Spirito, affonda le radici nel XII secolo, presso un monastero femminile. L’attiguo stabile divenne convento degli Agostiniani Scalzi, ramo osservante della famiglia di S. Agostino, anche se la distinzione è meno netta rispetto ai figli di S. Francesco. Fu Chiesa capoquarto, a partire dal XV sec., quando Atri fu divisa in quattro rioni, dagli Acquaviva, sull’esempio di Firenze. Felice coincidenza la Chiesa fiorentina degli Agostiniani si chiama pure S. Spirito.

L’interno, trasformato in epoca barocca, è a navata unica, con altari laterali. Conserva tele di Giuseppe Prepositi, allievo di Serafino Tamburelli, Ippolito Borghese e Andrea Dall’Asta. La balaustra è in pietra di Manoppello. Sulla controfacciata, l’antico organo. Dalla cantoria, fino a non molti anni fa, si accedeva al vecchio ospedale.

La devozione a S. Rita, fu portata dagli Agostiniani, forse all’indomani della beatificazione, nel terzo decennio del XVII sec. Avvenne durante l’episcopato di Silvestro Andreozzi, aristocratico lucchese, i cui successori, nella seconda metà di quel secolo, provenivano tutti dallo Stato Pontificio. Agli sgoccioli, fu Vescovo, per neanche due anni, Vincenzo De Rubeis, francescano conventuale di Bari. Fiorenti erano quindi le relazioni con Roma e le città papaline, come Cascia.

Imago brevis di questi rapporti, l’opera di Carlo Riccioni, ebanista della montagna di Roseto, forse nativo di Fano Adriano, allievo o comunque emulo di Gian Lorenzo Bernini. Lasciò alla sacrestia della Cattedrale gli armadi per i paramenti e le suppellettili e al Duomo, il baldacchino in legno di noce, copia del bronzeo della Basilica di S. Pietro.

La beatificazione di Rita da Cascia, fu promossa da Fausto Poli, Cardinale di S. Crisogono, uno dei principali collaboratori di Urbano VIII. Nato ad Usigni, uno dei castelli di Cascia, si formò nel Seminario di Spoleto e nell’antica capitale longobarda ebbe modo di diventare amico dell’allora Vescovo Maffeo Barberini, il futuro Pontefice, il quale ne apprezzava le doti, tanto da volerlo a Roma. Nominato Arcivescovo di Amasia, città all’ombra del Patriarcato di Costantinopoli, anche se “in partibus”, la vetusta sede fu in seguito abbinata a Pavia, per controbilanciare il prestigio di Milano. Coronò il servizio episcopale a Orvieto, anche se forte fu il legame con Cascia, dove acquistò una piccola casa, per meglio partecipare alla vita pubblica della città che nel Tardo Medioevo contava circa 20 mila abitanti. Nello stemma di Urbano VIII sono presenti le api, e anche questo costituisce un nesso con la Santa degli impossibili.

Non fu quindi soltanto una beatificazione, ma l’universalizzazione del culto di S. Rita, soprattutto in ambito agostiniano. Per questo fu celebrata nella Chiesa romana di S. Agostino, vicino Piazza Navona. L’apice porta la data del 24 maggio 1900, quando Leone XIII, iscriveva Rita nell’albo dei Santi, dichiarandola “perla preziosa dell’Umbria”.

Atri rispose con entusiasmo alla canonizzazione. Lo stesso Papa un anno dopo firmava il breve dell’indulgenza per la Chiesa di S. Spirito e, compagnie di pellegrini, venivano a piedi, soprattutto dall’entroterra a Sud del Vomano. Giungevano la vigilia della festa, e rimanevano tutta la notte in chiesa o nei locali adiacenti, per la pratica dell’incubatio, come avveniva sull’antica tomba di S. Gabriele (a destra dell’altar maggiore della Basilica costruita sulla Chiesa dell’Immacolata). I pellegrini ripetevano l’esperienza di Giacobbe (Gen 28,10), da Bersabea verso Carran.

Devoti arrivavano da fuori regione, pernottando in ricoveri di fortuna, e gli atriani ospitavano parenti e amici, preparando “quadrucci e piselli” e altre specialità della gastronomia acquaviviana. Negli anni ’20 il programma di S. Rita, ereditò, dalla festa di S. Antonio, la Maggiolata, la Piedigrotta abruzzese, una sorta di Festival della canzone regionale d’autore.

Aurelio Malvezzi, Gaetano Catarra, Eugenio Antonelli e il Cav. Antonio Concetti, i principali organizzatori della festa nel XX secolo. La kermesse si è sempre distinta per l’esibizione delle migliori bande musicali, come quelle di Squinzano, Racale, Noicattaro e Francavilla Fontana. E’ diventata l’alter ego della festa patronale di S. Reparata.

L’idea di elevare la Chiesa a Santuario prese consistenza nell’anno 2000, primo centenario della canonizzazione. La Messa solenne e la processione furono presiedute dal Card. Vincenzo Fagiolo, Presidente della Commissione Disciplinare della Curia Romana, già Arcivescovo di Chieti e quindi Primate d’Abruzzo. I tredici anni a Chieti lo avevano visto presente a tante ore indelebili di fede popolare come la pantomima del lupo a Pretoro e la festa dei Miracoli a Casalbordino. Da porporato volle ripetere la stessa esperienza tra Abruzzo e Molise, anche con la malattia in stato avanzato.

Nello stesso anno si parlò di un gemellaggio con Cascia, ma poi furono preferiti altri abbinamenti della città acquaviviana con luoghi più suggestivi e meno devozionali. Si tornò a parlare di Santuario, con l’Arcivescovo Vincenzo D’Addario, promotore del rinnovo dell’indulgenza, grazie a S. Giovanni Paolo II, ma la giornata terrena fu prematuramente stroncata in una dolorosa alba d’inverno.

La felix culpa del terremoto ha comportato il nuovo ingresso di S. Rita nella sua casa di Capo d’Atri. Un po’ come avvenne per S. Gabriele, dopo il crollo del timpano curvilineo della chiesa, con la festa del 14 gennaio 1990. Ma qui si apre una nuova splendida pagina per l’avvio del Santuario. Un segno tangibile sarebbe l’arrivo di una reliquia dal Monastero di Cascia.

E tra cinque anni ricorderemo il bicentenario della visita a S. Spirito di San Gaspare del Bufalo, figlio adottivo della diocesi di Spoleto, altro motivo per cementare le relazioni con Cascia e Roccaporena.

SANTINO VERNA