Una nuova rubrica \ Storie di cinema

IL CECCHINO di Michele Placido, sulle tracce del “Polar”

“Nella vita non tutto è come appare al primo sguardo” di Roberto Rosa

 

In questi giorni è uscito in sala “Il cecchino”, il nuovo film diretto da Michele Placido che, dopo una lunga e onorata carriera d’attore che lo ha reso uno dei volti più noti del nostro cinema, è passato (ormai da parecchi anni) dietro la macchina da presa collezionando, anche in questo ruolo, molti successi: basti ricordare titoli come “Un eroe borghese”, “Un viaggio chiamato amore”, “Romanzo Criminale” ed il controverso “Vallanzasca – gli angeli del male”.

Diversamente da come avviene normalmente per un autore del suo calibro che, giustamente, pretende di controllare l’intero processo realizzativo, dall’idea al film finito, questa volta Placido si è trovato di fronte ad una nuova sfida: è stato, infatti, chiamato (proprio in forza del successo ottenuto oltralpe dai suoi “romanzi criminali”) da una produzione francese per dirigere un cast già definito e ricco di stelle (fra le quali spiccano i volti dei due protagonisti: il monumentale Daniel Auteil ed il gelido  Mathieu Kassovitz: che, pur’essendo giovane, ha già alle spalle un ricco curriculum sia come attore che come regista: basti pensare a “L’Odio”) in una storia scritta da sceneggiatori francesi nel più classico degli schemi del poliziesco/noir che in Francia ha creato un sottogenere a se:  il Polar (nato appunto dalla fusione di policier e noir) ancora molto seguito ed apprezzato dal pubblico, a differenza del nostro “omologo” Polizziottesco che, sebbene sia stata negli anni ’70 una delle nostre avanguardie più prolifiche (basti pensare ai continui omaggi che ancora riceve da tanto cinema americano: Tarantino e non solo), non riesce più a conquistarsi uno spazio vitale al botteghino.

Un “lavoro su commissione”, quindi, e per di più su un’opera di “genere” che avrebbe potuto mortificare l’opera di Placido. Paradossalmente, invece, proprio in questo contesto la sua “autorialità” si è rivelata più libera di esprimersi consentendogli di rielaborare attraverso la sua sensibilità e la sua conoscenza del cinema (po)polar(e) il canovaccio certamente ben scritto, ma comunque standardizzato, propostogli. Non rinuncia, infatti, come nei suoi lavori più riusciti, a narrare l’azione attraverso una spasmodica ricerca del primo piano né ad usare il colore con funzione narrativa. Nello stesso tempo contamina il genere puro, che fu di Melville, con il Polizziottesco italiano (la sequenza in macchina dopo la rapina rimanda direttamente a “Cani da rapina” di Bava: prototipo del Polizziottesco e fonte d’ispirazione anche per “Le iene” di Tarantino), con il Polar rielaborato “all’orientale” di John Woo e Johnny To e perfino con il nuovo horror francese di “Martyrs” (in tutta la parte finale).

Senz’altro, dunque, un lavoro pienamente riuscito e che può stimolare a riscoprire un genere glorioso e molto amato in Francia ma che da noi trova spazio con difficoltà.

Volendo appagare, allora, la propria curiosità verso un genere così ricco e longevo, non si può non partire dai due antesignani del genere: “Grisbi” e “Rififi”, entrambi del 1954 ed entrambi tratti da due romanzi della “Série noire” fondata nel 1945 da Marcel Duhamel. Se il primo è più epico, il secondo è più disincantato e ruvido, anche grazie alla sensibilità americana del suo autore: Jules Dassin, “esiliato” in Francia a causa del maccartismo.

Solo un paio d’anni dopo arriva il primo Polar di Jean-Pierre Melville “Bob il giocatore” che, insieme al celebre (e contemporaneo) “Ascensore per il patibolo” di Louis Malle, fornirà addirittura le prime linee stilistiche alla Nouvelle Vague che muoverà i primi passi con Chabrol e Truffaut solo qualche mese dopo e che poi, con l’esordio di Godard: “Fino all’ultimo respiro” (1960), manifesterà apertamente il suo amore per il genere. Non si può prescindere, poi, dal trittico che ha reso leggendaria l’opera di Melville: “Tutte le ore feriscono … l’ultima uccide” (1966), “Frank Costello faccia d’angelo” (1967) ed “I senza nome” (1970), sono film monumentali e senza tempo che vanno ben’oltre i confini del “genere”. Film nei quali lo scontro fra l’uomo ed il suo destino è talmente impari da rendere vano ogni sforzo di redenzione, è per questo che nei film di Melville non c’è mai un giudizio di valore sui suoi personaggi, loro vivono è muoiono così: seguendo la loro strada.

 A quel punto, il Polar era un genere seguito ed amato anche fuori dei confini francesi. Da noi uno dei primi a raccogliere gli stimoli d’oltralpe fu Fernando Di Leo che nel 1972 con “Milano calibro9”firma uno dei primi Poliziotteschi (definizione giornalistica peraltro odiata da Di Leo) e senz’altro quello più vicino alla cupa sensibilità francese.

Nei decenni seguenti il Polar continua ad allargare la sua influenza su quasi tutte le cinematografie mondiali: basti pensare al cinema dei fratelli Coen in America o a quello di John Woo e Johnny To ad Hong Kong: quest’ultimo arriva addirittura ad omaggiare il mastro Melville scegliendo un attore francese (Johnny Hallyday – avrebbe voluto lo stesso Delon, protagonista di “Frank Costello faccia d’angelo”, ma lui rifiutò) per interpretare l’anziano killer (di nome Costello) nel suo “Vendicami” del 2009.

Ma sarà ancora un Polar a riportare l’attenzione sul cinema francese: “Leon” (1994) diventa un successo mondiale e conferma le qualità di Besson che si era già messo in luce con “Nikita”.

Arrivando, infine, ai giorni nostri il Polar in Francia è più vivo che mai grazie ad una serie di giovani autori fra i quali spicca senz’altro Jacques Audiard che soprattutto con “Il profeta” (2009), ma anche con i precedenti “Sulle mie labbra” (2001) e “Tutti i battiti del mio cuore” (2005) ridefinisce i confini del Polar, piegandolo ad una visione, la sua, davvero autoriale; oppure il coetaneo Olivier Marchar che con “36-Quai des orvefres” (2004), “L’ultima missione” (2008) e “Braquo” (2009) costruisce dei Polar solidi, senz’altro più fedeli al genere. O, ancora: Jean-François Richet che nel 2008 porta sullo schermo la vita del più ricercato bandito di Francia: Jacques Mesrine nel suo dittico “Nemico pubblico n.1 – L’istinto di morte” e “Nemico pubblico n.1 – L’ora della fuga”, chiudendo metaforicamente il cerchio con Placido ed il suo analogo “Vallanzasca – gli angeli del male”.

È interessante, infine, notare come anche l’ultima opera del maestro Chabrol sia stata proprio una rilettura crepuscolare del Polar. Nel suo ultimo film: “Bellamy” (2009) un poliziotto di successo interpretato da Gérard Depardieu (è appena il caso di sottolineare come uno degli elementi del successo del Polar è quello di aver potuto contare su attori straordinari, meglio ancora: su facce straordinarie, cosa sarebbe stato il Polar senza Gabin, Ventura, Belmondo, Delon, Depardieu, Autiel, Cassel …) si trova ad indagare su un presento omicidio e, pur riuscendo a far scagionare il colpevole perché convinto che in realtà si fosse trattato di suicidio, alla fine sospetterà di essere stato abilmente manovrato. Il film si chiude, quindi, con una citazione del poeta W.H. Auden: “c’è sempre un’altra storia, c’è sempre qualcosa di più di quanto possa percepire l’occhio” a ricordarci che, come nel Polar, anche nella vita non tutto è come appare ad un primo sguardo.

 

Inizia la collaborazione al nostro giornale Roberto Rosa, un esperto di cinema che ci aiuterà, con le sue recensioni, a capire e gustare le ultime produzioni cinematografiche.
Lo ringraziamo per la sua disponibilità e ci piace presentarlo ai nostri lettori con una breve scheda biografica.

Laureato in Economia e Commercio, è redattore della rivista on-line di informazione e critica cinematografica “Sentieri Selvaggi”, per la quale si occupa, dal 2001, di critica, informazione e corrispondenze dai principali Festival italiani. Dal 2009 è responsabile della rubrica “Libri di Cinema” per la stessa rivista.

Nel 2010 è stato membro della giuria tecnica per il Festival “Cineramnia” di Teramo.

È autore del saggio: “Argento e il genere: dall’artigianato all’autorialità” in “Dario Argento - l’amore e l’orrore” di prossima pubblicazione per goWare editore.