Affettuosa memoria

RICORDIAMO SALVATORE PORTALURI

Ha concluso la giornata terrena, dopo lunga sofferenza, Salvatore Portaluri, militare in congedo, atriano “per estensione”, perché amico e collega di un atriano doc, Giovanni Palma, portato fuori Abruzzo dalla vita militare, a partire dal 1952.

Salvatore era nato a Maglie nel 1928 e il luogo di nascita era un motivo in piu’ dell’affetto verso Atri. Maglie è la patria di Aldo Moro, lo statista il cui ultimo discorso pubblico fuori Roma, fu tenuto ad Atri, in Piazza Duomo, all’ombra della storica sezione locale della DC, in alcuni locali di Palazzo Mambelli. Sposato con una figlia, Salvatore, per via del servizio sotto le armi, era stato portato in vari luoghi.

Collocato in pensione, con l’amico Giovanni Palma, entrambi residenti a Bologna, si teneva in forma, attraverso vibranti ciclopedalate, tra centro storico, periferia e campagna del capoluogo emiliano. Una sosta orante era il Santuario di S. Antonio, attiguo all’Antoniano, l’opera nata all’indomani dell’ultima guerra mondiale e resa famosa anche dallo Zecchino d’Oro e dai programmi che gli sono legati, sulla TV di Stato.

Con il velocipede, Totò (come qualche volta lo chiamavano affettuosamente) e Giovanni ebbero modo di conoscere Romano Prodi, amante anche lui della bicicletta, da buon bolognese, con il territorio in pianura e i mezzi pubblici piu’ funzionali. E non solo l’ex- Presidente del Consiglio. Ciclopedalate surreali, perché nella stanchezza e nel desiderio di andare oltre, ci si da tutti del “tu”, cosa molto insolita nel mondo militare.

Alle rimpatriate, questa volta pedonali, si associava l’amico Costanzo Marcone, funzionario emerito della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Con Costanzo le passeggiate diventano sempre scoperta di opere d’arte e architettura, a partire da Firenze.

Con gli amici felsinei, Costanzo volle festeggiare il pensionamento, il 15 maggio 2004, e da Atri, arrivarono in treno, l’inseparabile Giovanni Verna, mio padre, con il sottoscritto e Pino Perfetti. Erano gli amici della GIAC diocesana di Atri, dove era diventato uno di loro, anche Salvatore, con il meraviglioso accento salentino. Fu una festa in un ristorante di Pianoro, abbellito da un piccolo lago, dove non mancarono come prologo e proseguimento, le visite alle opere d’arte. Ma non quelle immortalate sulle cartoline o sugli sbrigativi manuali di storia dell’arte, perché Costanzo sceglie tutto con cura. Infatti fu la volta della chiesa di S. Severino, obliterata dalla maggior parte dei docenti, per il solo timore di essere etichettati “chiesastici” (il moderno edificio sacro fu voluto e promosso dall’indimenticabile Arcivescovo Giacomo Lercaro, uno degli artefici della riforma liturgica postconciliare).

Altro appuntamento, con Salvatore, i week-end spirituali, ogni anno in un luogo diverso. Già all’inizio dell’anno si cominciava a pensare al monastero o al convento, dove si sarebbero trascorsi due o tre giorni, in luglio o agosto. Tutto era cominciato, negli anni ’90, con una giornata in un Santuario abruzzese. Come sempre, fu mio padre ad ideare l’evento dei week-end. Si partì da Camaldoli e La Verna, anche per facilitare la compagine bolognese. Era il 7 luglio 2001, e una prima tappa si ebbe sul sagrato della Basilica di S. Maria degli Angeli, in Assisi.

Salvatore non mancò mai. Era contento di associarsi al gruppo abruzzese, con il suo stile raffinato e discreto. Era un grande sportivo, amante della disciplina, ma sapeva adattarsi anche ai momenti “sedentari” dei week-end, come la spiegazione del monaco o del frate, abitualmente il primo giorno della permanenza (il secondo giorno, se era domenica, la S. Messa e poi già si respirava il clima del congedo). Una volta festeggiò pure l’onomastico, nel corso di una rimpatriata. Era il 6 agosto, festa della Trasfigurazione, quella del SS. Salvatore, tanto cara alle genti del Mezzogiorno. E anche il giorno della nascita al Cielo di Paolo VI, presto canonizzato.

La prassi finì nel 2007. Quell’anno la scelta era caduta su un monastero di Fabriano, sempre per armonizzare gli arrivi. L’anno prima era stata la volta di Monte Giove, un cenobio camaldolese alle porte di Fano. Intanto già qualche componente era passato all’altra riva, qualcuno era ammalato, ma Salvatore era sempre presente.

La malattia colpì pure Salvatore e riceveva spesso le visite degli amici piu’ vicini, Giovanni e Costanzo. Nella casa di cura dove era ricoverato, il personale e i pazienti additavano il militare salentino come esempio di correttezza e disciplina. Non amava essere servito e finchè ha potuto, ha espletato autonomamente i servizi in camera.

Tante volte ha sentito parlare di Atri e chissà come ne avrà immaginato le vetuste tradizioni. Come un atriano può immaginare il suo Salento. Salvatore ci ha lasciati in un mese ricco di feste popolari, come quelle che ancora si tengono nella sua amata terra. Un mese illuminato dalla presenza materna e rassicurante di Maria Santissima, venerata come Addolorata, partecipe alle sofferenze del Signore che si immola per tutti e per ciascuno di noi.

SANTINO VERNA