Pubblicato Lunedì, 15 Gennaio 2018
Scritto da Santino Verna

TRADIZIONI ABRUZZESI

IL SANT’ANTONIO A VIA PIAVE A PESCARA

Il 13 gennaio scorso si è rinnovata, a Pescara, a cura del gruppo “I briganti della Majella” la tradizionale festa del S. Antonio Abate. La location era l’Osteria dei Sabatini, ex-Società di Mutuo Soccorso, nata quando Pescara non era ancora provincia, per interessamento di Leopoldo Muzi, uno dei figli illustri di Castellamare Adriatico, dove ricade il locale. L’Osteria propone tante pietanze del meraviglioso campionario abruzzese, dove spiccano i latticini di Castel del Monte.

Qualcuno avrà arricciato il naso, perché la festa si è svolta con quattro giorni d’anticipo. Ma S. Antonio Abate gode di tanti giorni nel mese di gennaio, perché è il Santo più amato del mese, almeno in Abruzzo, ma anche in altre regioni d’Italia. Nella metereognostica la festa segna l’allungamento delle giornate e quindi l’annuncio del ritorno della bella stagione, anche se il freddo è sempre padrone: “Sant’Antonio con la barba bianca, se non piove la neve non manca” o “A Sant’Antonio, il freddo ha più unghie del demonio”. A Pavia, S. Antonio è chiamato “mercante di neve”.

Il gruppo, con il coordinamento di Giuseppe Di Fabio, di Scafa, ha eseguito due rappresentazioni del S. Antonio, impersonato da Enzo Jezzi, di Abbateggio, quella tradizionale e il S. Antonio di Abbateggio. Ogni borgo della regione, come ha ricordato il maestro Di Fabio, aveva e ha il suo S. Antonio, portato di casa in casa dalla squadra di cantori e suonatori. Si può aggiungere che i personaggi sono minimo due (S. Antonio e il diavolo), fino ad un massimo indefinito, dove si aggiungono interpreti di volta in volta, fino all’esagerazione. Nel Chietino, negli anni ’90, fu aggiunto un poliziotto americano, figura certamente anacronistica, ma imago brevis dell’emigrazione transoceanica tipica di tutto l’Abruzzo, quando la situazione economica non era certamente florida. Questa stranezza nel S. Antonio fu indagata da Mario D’Alessandro, bibliotecario di Altino e studioso di tradizioni popolari, in sinergia con il compianto Valerio Di Valerio, artista-fotografo di Serramonacesca.

Il S. Antonio tradizionale, di autore anonimo, fu raccolto da Ettore Montanaro e deve la sua fama, alla divulgazione del coro “G. Verdi” di Teramo, diretto dal m° Ennio Vetuschi. L’interpretazione di Raffaele Fraticelli, con la caratterizzazione di zi Carminuccio, come parlava ai radioascoltatori abruzzesi a partire dal 1953, diede il tocco di classe e la rappresentazione divenne must di tanti cori folkloristici, all’epoca molto diffusi nella regione. Se la scoperta era stata di un francavillese, l’esaltazione si deve a un teramano. Ma la voce flebile è di un chietino.

Negli anni ’80, la diffusione della versione pescarese, è di Germano D’Aurelio, alias ‘Nduccio, il cabarettista di S. Silvestro, amato dal pubblico giovanile. Compare l’anacronistica strofa “Sant’Antonie a lu deserte/ se cuceve li pantalune/ Satanasse pe dispette/ je stucchese li bettune”, quartina che mette in risalto la pazienza del fondatore del monachismo, mentre il diavolo lo stuzzicava.

Il S. Antonio di Abbateggio, nella prima strofa ingenera confusione tra S. Antonio Abate e S. Antonio di Padova. Entrambi molto venerati in Abruzzo, l’egiziano si impose perché protettore degli animali della campagna (in tempi recenti anche quelli d’affezione), il lusitano, seguace di S. Francesco, per la potente intercessione presso il Signore. Definito “Santo dei miracoli”, la canonizzazione avvenne, come sappiamo, a undici mesi dalla morte.

“Sant’Antonio/ giglio giocondo/ nominato per tutto il mondo/ chi lo tiene per Avvocato/ da S. Antonio sarà aiutato”. Il giglio, attributo di Santi e Sante vergini, lo è diventato per antonomasia di S. Antonio di Padova, perché, passato all’altra riva il 13 giugno, questi fiori ne adornarono la tomba. Popolarmente nell’iconografia vari testimoni della fede hanno avuto attributi legati alla data calendariale: S. Giuseppe, con la tunica viola avrebbe il ricordo delle violette che spuntano a marzo, S. Lorenzo con i carboni ardenti alludenti alla calura estiva, S. Antonio Abate con il maiale ai piedi, all’uccisione di quest’animale, di cui non si butta nulla, proprio nel mese di gennaio.

I canti sono stati accompagnati da strumenti popolari, come l’organetto diatonico, suonato magistralmente da Giuseppe Di Fabio, il piffero, i tamburelli e il bufù, ovvero il tamburo a frizione, il cui suono evocherebbe il verso del maiale. Alle voci maschili si aggiungono le femminili, con le brigantesse, tutti nei costumi ottocenteschi dei briganti, rievocando una sgargiante pagina all’ombra della Montagna Madre, la Majella. Come riscatto per i rapimenti bisognava portare doni alimentari, come i prosciutti.

La rappresentazione sarà ripetuta, il 19 gennaio, sempre a Pescara, al Sea River, dal nome che si sposa con qualche difficoltà al microcosmo del S. Antonio. E la domenica seguente, la volta di Spoltore, dove il pomeriggio e la sera saranno tutti all’insegna del patriarca del monachismo. Non è vero quindi che l’Epifania porta via tutte le feste, perché all’indomani della Pasquetta, pure se ci attendono lavoro, scuola e scadenze, già si pensa ai riti dell’Abate, definito da P. Raniero Cantalamessa “gigante dello spirito”.

SANTINO VERNA