Pubblicato Giovedì, 21 Dicembre 2017
Scritto da Santino Verna

Forte il suo legame con l'Abruzzo

ALFONSO MARIA DI NOLA A VENTI ANNI DALLA MORTE

La lezione del Prof. Gian Carlo Baronti, docente di Storia delle Tradizioni Popolari all’Università degli Studi di Perugia, in quel freddo giorno di febbraio cominciò con l’annuncio della morte di un grande studioso della materia, peraltro non laureato, Alfonso Maria Di Nola. La descrizione del medesimo fu molto rapida e concisa, in quell’aula non molto grande nel piano superiore di Palazzo Manzoni (nulla a che vedere con Alessandro), in Piazza Morlacchi.

Alfonso Maria Di Nola, napoletano quanto il nome e il cognome, aveva origini ebraiche, poiché in quest’ultimo aveva un toponimo. Infatti quando gli ebrei venivano espulsi e dovevano recarsi altrove, portavano come dote il nome della città d’origine. Ma non diventava mai demotico. Ecco perché Don Milani non divenne mai Milanesi, oppure gli antenati di Giuliano Ferrara, non optarono per Ferraresi.

Alfonso ebbe una grande passione per lo studio e questo lo portò ad iscriversi a diversi corsi di laurea, senza tuttavia concludere con la difesa della tesi. Non per blocco psicologico al cospetto della commissione o pigrizia nel portare a termine gli studi, ma per il carattere dello studioso che vuole conoscere tutti i campi dello scibile. Per chiara fama, come si diceva allora, ottenne la cattedra universitaria, sul sentiero di Benedetto Croce, di cui fu discepolo.

Si dichiarava laico, vicino ai problemi della gente, soprattutto agli operai del pastificio di Gragnano, apprezzava molto l’opera di Pompei e il suo fondatore Bartolo Longo. Due storie per certi versi simili, perché l’avvocato salentino, prima della conversione, o meglio del ritorno alla fede, era entrato a contatto, non solo con lo spiritismo, ma anche con la cerchia degli intellettuali laici dove spiccavano i fratelli Spaventa, Luigi Settembrini e Augusto Vera. Sostenitore morale del Beato fu anche Benedetto Croce che dichiarò Pompei la “Lourdes italiana”, anche se dopo la morte di Bartolo, fu scelta Loreto per i pellegrinaggi regionali degli ammalati.

Di Nola amava molto il Beato Paolo VI. Non apprezzava alcuni atteggiamenti di S. Giovanni Paolo II. La sua valutazione era da antropologo. Ovviamente voleva molto bene a S. Giovanni XXIII e avrebbe apprezzato Papa Francesco, come ha confermato un suo allievo, il Prof. Emiliano Giancristofaro, docente di storia e filosofia, il principe degli attuali etnodemologi abruzzesi.

L’amicizia con il docente frentano lo ha reso diverse volte ospite delle tante feste popolari abruzzesi nel corso dell’anno, soprattutto a Cocullo, dove si ripete, da qualche anno il 1° maggio, in passato il primo giovedì dello stesso mese, la processione di S. Domenico ricoperto dalle serpi. Un rito che entrava telegraficamente nelle lezioni perugine di Paolo Bartoli, docente di Antropologia Culturale e allievo di Tullio Seppilli, alter ego di Di Nola per il capoluogo umbro.

Come ricordava Gian Carlo Baronti, Alfonso Di Nola ha studiato tre Santi, per l’Abruzzo: S. Domenico, S. Zopito e S. Antonio Abate. Il primo, umbro di origine e ciociaro di adozione, ha passato momenti significativi in Abruzzo, quando l’impervia regione offriva rifugio e luoghi per la meditazione ad eremiti e monaci. S. Zopito, uno dei corpi Santi estratti dalla catacombe romane servì al popolo di Loreto Aprutino per essere equiparato alla rivale città di Penne, arrivando nella cittadina dell’attuale provincia di Pescara nel 1711 con l’inginocchiamento del bue, vago richiamo all’incipit di Isaia.

S. Antonio Abate, padre del monachismo, mai vissuto ovviamente in Abruzzo, ebbe grande devozione nella regione a partire dal Medioevo, quando molte calamità venivano attribuite al diavolo (ampiamente studiato da Di Nola). Dato che S. Antonio lo aveva vinto durante l’eremitaggio, la regione lo adottò popolarmente come patrono, solennizzandone la vigilia, parificata a quelle solstiziali di Capodanno e dell’Epifania, quando gruppi di suonatori e cantori, muniti di strumenti musicali corredati da arnesi da cucina per amplificare il rumore e segnalare l’arrivo, andavano nelle case benestanti, chiedendo doni in natura nel nome di S. Antonio Abate.

Alfonso Di Nola ha dato la solerte e preziosa consulenza per la RAI, nel programma “L’età sospesa: infanzia e feste popolari” di Sandro Lai, trasmessa nelle reti della TV di Stato negli anni ’80, a cura del DSE (Dipartimento Scuola Educazione), imago brevis dell’attenzione della più grande azienda culturale del Paese per le tradizioni popoolari. Il docente napoletano ha siglato due feste abruzzesi, i serpari di Cocullo e il lupo di Pretoro, entrambe legate a S. Domenico di Colfornaro.

S. Domenico sia nel borgo dell’Aquilano che nei paesi del Chietino era festeggiato con la pantomima del lupo (commentata in dialetto dal poeta Raffaele Fraticelli), dopo la processione del Santo con le serpi, catturate nei giorni precedenti in montagna. Poi a Cocullo hanno prevalso i rettili, con maggior fama in ambito internazionale, a Pretoro, Palombaro, Villamagna, Pizzoferrato e Guardiagrele, la rappresentazione con il lupo (nella piazza ci sono lupi imbalsamati e nella pantomima si muove un uomo coperto dalla pelle del parente selvatico del cane).

Di Nola ha prefato il secondo lavoro di Emiliano Giancristofaro sulle tradizioni popolari d’Abruzzo, il seguito di “Totemaje” per intenderci e in queste opere compare in controluce sempre mamma RAI, dove, soprattutto in radio, le tradizioni popolari erano all’ordine del giorno, entrando nelle case e sulle automobile di una terra meravigliosa, per dirla proprio con l’erede professionale, tale perché discepolo e amico, Emiliano Giancristofaro.

SANTINO VERNA