Pubblicato Venerdì, 06 Ottobre 2017
Scritto da Nicola Dell'Arena

RICORDI CHE ACCAREZZANO IL CUORE

LA MIA CAPO D’ATRI: SETTEMBRE

“Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare”. Così inizia la poesia del grande poeta abruzzese Gabriele D’Annunzio. Puntualmente nel mese di settembre, all’andata, si ripeteva la secolare transumanza, greggi di pecore che brucavano tutta l’erba che incontravano. Noi ragazzi non eravamo particolarmente entusiasti di questo passaggio, non facevamo festa, vedevamo il passaggio e basta. A quel tempo, c’era ancora il baratto, sulle campagne che attraversavano brucando l’erba i pastori pagavano con ricotta e formaggi.

Per il mese di settembre ad Atri c’era il proverbio “li mrcul d la fratt quant è bon quant è fatt quand s fa l’uv e li fqur schiafft’incul a li mrcul”, che tradotto in italiano significa “le more del rovo sono buone quando sono mature ma quando maturano l’uva e i fichi non sono più buone”.

Negli anni ’50 la scuola riapriva ad ottobre e noi ragazzi avevamo ancora tutto il mese di settembre per giocare e divertirci. E settembre era buono per prendere le more.

Dalla strada statale partivano tre strade di campagna: la prima andava nella zona di Panice; la seconda nella zona di Borea S.  Domenico;  la terza “che si chiamava la scurciater” nella fonte Brecciola “vricciol” e proseguiva oltre. Ad un certo punto  c’era una biforcazione, una parte proseguiva per la fonte e l’altra portava al Colle della Giustizia. Vicino a questa biforcazione c’erano quattro alberi di gelso, che chiamavamo  more, della famiglia Nespoli. Due alberi erano bianchi e due neri. Appena maturi nel giro di due giornate erano finiti e non eravamo soli noi di Capo d’Atri a mangiarli. Credo fermamente che il proprietario non abbia mai mangiato un gelso.

Allora c’erano poche case: la casa di “lu rumt Tuttolani” che  considero la più bella casa di campagna; la casa di Vincenzo Iezzi con i suoi 5 figli; la casa di della famiglia Nespoli con Primo che  abbiamo fatto dalle elementari alla terza avviamento assieme e che a maggio ci portava le prugne verdi; la casa di dello zio Gabriele  prima della fornace; il mulino;  la casa di un contadino di cui non ho mai conosciuto il nome; la palazzina dell’UNES (il gestore dell’energia prima dell’ENEL) ed  infine prima del bivio  del Cagno una casa che poi fu abbattuta perché i terreno era franoso e quindi pericoloso. Non ricordo se tra Tuttolani e Iezzi ci fosse una casa, sul lato sinistro, la cosa che ricordo e che quando avevo sui 9 anni venne ad abitare in quella zona Luigi e Bruno Tuttolani con tutta la famiglia, e non erano imparentati con “lu rumt”.

A fianco  del terreno di Iezzi, quasi a protezione dello stesso, c’era una lunga “fratt”. Un cordone intrigato e impenetrabile di alberelli di tutti i tipi, cespugli e rovi. Si partiva  in gruppo “na frott d bardisc” e si andava a raccogliere le more e mangiarle.

Per quelle che si trovavano in alto e difficile da raggiungere si prendeva una canna, la si spaccava ad una estremità, in modo che facesse da forchetta, l’asola si infilava sul rametto del rovo, lo si trascinava verso di noi e si raccoglieva le more. Uno strumento semplice, antico, fornito dalla natura e a costo zero. Un altro rovo stava sopra la fonte della Brecciola. In questo posto le more erano difficile da raccogliere, ma erano più buone, più belle e più grandi.

 I fichi. Era l’unica frutta che non andavamo a rubare. Mio zio Gabriele ne aveva uno grande e spesso la mattina facevo colazione mangiando direttamente i fichi sull’albero. 

Per l’uva racconto una sola cosa, quello che ho chiamato il gioco delle parti. I contadini portavano l’uva ai proprietari “li patren” per la vendemmia. Alla vista dei carri si partiva per l’assalto. Ci voleva abilità e destrezza perchè il contadino utilizzava la frusta per colpirci e non farci prendere l’uva. L’abilità stava nel salire sul carro e prendere un grappolo d’uva in quei pochi secondi che la frusta tornava verso il contadino e ridiscendere. Il contadino giocava alla parte del duro ma oltre alla frusta non faceva nulla per fermarci, neanche uno scappellotto o un rimprovero nei giorni successivi. Ma che danno si procurava al proprietario per 4 o 5 grappoli d’una? Nulla.

Nicola Dell’Arena