RICORDI CHE ACCAREZZANO IL CUORE

LA MIA CAPO D'ATRI: I GIOCHI

Nello spiazzo tra le mura dell’ospedale e il muretto della strada e nello spiazzo sotto la rocca si giocava a palla, a pallett (con la buca o libero), con le bocce,  a stazz, a battimuro e a cavalcioni sul muretto a carte in due.

Il gioco delle “stazz” credo che sia un altro tipico gioco atriano. La stazz é una pietra schiacciata e larga. I gioco fatto con più persone era facile, semplice, di fortuna e di precisione. In verticale si metteva un mattone, abbastanza regolare, di 10 cm di altezza e 4 cm di larghezza (che si chiamava lu sant e non conosco il suo significato e la sua origine). Sopra il santo si mettevano i soldi (parte uguale per tutti i giocatori di 5 o 10 lire). Quando non c’erano le monete, come negli anni cinquanta si utilizzavano i bottoni o gli ossi della frutta. Spesso i nostri genitori tornavano a casa reggendosi i pantaloni perché avevano perso tutti i bottoni, così mi raccontava mio padre. Purtroppo i bottoni si perdevano anche con il gioco della pulce.

Ad certa distanza dal santo si metteva un sasso più che fungeva da segnalino per la partenza del gioco. Ogni giocatore tirava la propria stazz su questo segnalino. A chi arrivava più vicino toccava giocare per primo e così di seguito per il secondo in base alla vicinanza al segnalino. Il giocatore che iniziava per primo era leggermente favorito ma non troppo. Il primo giocatore tirava la propria stazz sul santo facendolo cadere e i soldi si spargevano per la zona. Ogni giocatore vinceva i soldi che stavano vicino alla propria stazz nei confronti degli altri giocatori. La fortuna, l’abilità e la precisione consisteva nel fatto che il primo giocatore metteva sotto la propria stazz tutti soldi in palio in modo da rendere impossibile agli altri di avvicinarsi ai soldi. Se il primo non riusciva in ciò toccava agli altri avvicinarsi di più ai soldi rispetto al primo oppure spostare la stazz e non era una cosa facile.

Il gioco delle bocce era fatto con più giocatori. Si faceva 10 buche per terra a forma di quadrato una centrale e le altre attorno. Nella buca centrale si metteva i soldi (parte uguale per tutti) e poi il giocatore tirando la boccia doveva centrare la buca con i soldi per vincere il premio. Le buche al contorno servivano, quasi come un labirinto, per creare difficoltà a centrare la buca con i soldi. Questo era un gioco basato  più sulla fortuna che sull’abilità. Il giocatore che doveva iniziare si sceglieva con la conta “a c’ tocc” come per le biglie.

I più coraggiosi salivamo sulla rocca da due parti: dalla parte iniziale bassa sul dirupo e dal davanti, nella zona più alta, in una scalata verticale a picco. Da questa seconda parte eravamo in pochi a farlo, i più incoscienti, perché era pericolosissimo. Un giorno l’ho fatto e quando ero arrivato sulla sommità un mattone si é smosso e mi ha sbilanciato. Mi sono visto morto e spacciato. Tento un colpo di reni e mi sono ributtato sul muro, per fortuna che ho trovato un mattone fermo e saldo sulla parete. Paolo Iezzoni, che guardava la scena da sotto rimase allibito e pieno di paura. Anche lui mi aveva visto morto.

Incoscienti o coraggiosi. Entrambi i due atti. Eravamo fortemente coscienti del pericolo che si correva ma eravamo anche coscienti dei limiti delle nostre capacità fisiche. Sapevano fino a che limite potevamo arrivare e potevamo sforzare le nostre capacità.

Adesso, quando vedo la struttura che il comune ha dovuto mettere per sicurezza mi reca tanta tristezza ma anche nostalgia della mia felice fanciullezza che le nuove generazioni hanno perduto.

Dall’alto della rocca si può ammirare un meraviglioso e vasto panorama, e non esagero se dico unico al mondo, panorama che comprende tutta vallata del Vomano fino al mare  e le montagne degli Appennini da quelle marchigiane fino a quelle della provincia di Chieti, con in mezzo sua maestà il Gran Sasso. Certo, ci starebbe benissimo un ristorante con un panorama così vasto e variegato.

Nicola Dell’Arena