Pubblicato Domenica, 17 Settembre 2017
Scritto da Nicola Dell'Arena

RICORDI CHE ACCAREZZANO IL CUORE...
LA MIA CAPO D'ATRI: LA ROCCA

Fino al 1956 le mura della porta di Capo d’Atri c’erano. Gira una foto dei primi anni del novecento da dove si vede la porta aperta e i due muri che sono uguali a quello che ho visto. Le mura erano in mattoni, semplici nello stile, senza fregi e senza iscrizioni. Ai miei tempi la porta non c’era più e non so quando sia stata tolta. Era in legno o in ferro? Non lo so. Penso in legno per le larghe feritoie che c’erano e che servivano per far rientrare la porta durante l’apertura.

Ogni tanto chiedevo notizie a mio padre, ma i suoi ricordi erano vaghi. Anche per mio zio i ricordi erano vaghi ed una sola volta abbiamo parlato dell’argomento. Per mio padre la porta fu tolta tra il 1931 e il 1933 ma non posso essere sicuro perché in quel periodo mio padre stava ancora a Roma. Probabilmente, vecchia e logora, fu tolta insieme alle porte Cappuccini e Macelli. Una ricerca sui verbali del Consiglio Comunale farà chiarimento su tutto.

Accanto alla porta, sul lato sinistro proveniente da Atri, ad una certa altezza c’era una buca, ora chiusa, dalla quale si entrava nella rocca. All’interno c’erano due stanze e nella seconda (più grande) sulla sommità c’era un buco. Forse con una scala, i soldati dei duchi, salivano sulla rocca per scrutare quello che accadeva nella splendida vallata del Vomano onde prepararsi in anticipo per l’eventuale difesa, ma anche per buttare materiale bellico sugli invasori.

La porta era sicuramente stata ricostruita di recente poiché si notava nettamente la giovinezza della porta rispetto alla vecchiaia di tutta la rocca.

Le mura furono abbattute dopo il 1956, data limite e significativa per la storia di Atri, l’anno preciso non lo ricordo. Era accaduto un lieve incidente, una macchina proveniente dalla strada si S. Domenico si scontrò subito dopo le mura adducendo la colpa al fatto che non si vedeva nulla da quella direzione. E così le mura furono abbattute. Insieme alle mura fu abbattuto un pezzo di muretto che delimitava la strada con la spiazzo sotto l’ospedale.

All’interno della rocca salivamo per giocare quando pioveva, era riparato e si stava al coperto. Inoltre quando pioveva utilizzavamo “li spurt” i portici per giocare senza bagnarci. Qualcuno non era capace di salire, allora uno da sotto lo spingeva e l’altro da sopra lo tirava per le mani e saliva pure lui. Solidarietà o incoscienza di ragazzi.

I giochi che si potevano fare erano quelli senza movimento e quindi: gioco con le carte napoletane; morra cinese e italiana; signora, signorina, medico e tampa; e raramente si tirava due tiri con la palla.

Negli anni cinquanta a Capo d’Atri non conoscevamo le carte francesi e quindi facevamo i giochi italiani: briscola, scopa, tressette e qualche leggero gioco d’azzardo (sette e mezzo, ventuno, bestia). Da allora non ho mai perso la soddisfazione di fare una partita a carte.

Il gioco del tampa era riservato ai maschi e non so se in altri paesi esisteva o se fosse tipico atriano. Il gioco consisteva nel fare un nodo al fazzoletto, a volte si bagnava con l’acqua perché faceva più male, e poi si colpiva con forza il palmo della mano come fosse una frusta. Si giocava con più persone, meglio da quattro in su, ognuno buttava la mano, si contava le dita aperte e poi da chi doveva iniziare si chiamava: signora, signorina  medico e tampa. Il medico sceglieva la cura, il numero delle fazzolettate, e il tampa eseguiva. Devo dire che era doloroso, pericoloso, le mani diventavano rosse e a quel punto si smetteva di giocare. Cosa legava i termini utilizzati e soprattutto cosa significa tampa non lo so.

Nicola Dell’Arena