IL FASCINO MISTERIOSO DE “LI FAEGN”

RICORDI E RIMPIANTI DI UNA TRADIZIONE SECOLARE

I giorni 8 e 13 Dicembre erano due appuntamenti fissi della mia fanciullezza. Erano i giorni de li “faegn”.

Zio Gabriele (in realtà era il fratello di mio nonno ma per l’affetto che avevamo per lui lo chiamavamo zio) era lo zio che custodiva  e rispettava tutte le tradizioni atriane legate alla campagna. Emigrò in America, a New York, insieme a mio nonno ma dopo pochi anni tornarono sia perché insoddisfatti della vita americana sia perché preferivano stare nel loro paese natio. Con i pochi risparmi messi da parte, lo zio Gabriele comprò un pezzo di terreno situato tra la fornace e la croce che coltivava da solo e da cui traeva il necessario per vivere. Zio Gabriele tutti gli anni preparava il fascio di canne, che puntualmente la sera precedente li faegn mi portava a casa, e l’alberello di ulivo che portavo a benedire la domenica delle Palme.

La mattina alle quattro c’era la sveglia e questa volta toccava a mio padre l’onere di accompagnarmi in piazza Duomo. A mio padre oltre questa incombenza toccava, alla fine della festa di S. Rita, riprendermi addormentato sulle scalette della cassa armonica e riportarmi a casa senza farmi svegliare. Ogni anno eravamo i primi,  in piazza Duomo era aperto solo il bar Duomo e verso le cinque arrivavano gli altri, si accendevano i fasci e si iniziava il secolare giro per Atri.

Durante il giro del paese tutto è possibile, tutto si può fare. Praticamente ad Atri ci sono due giornate dove “ogni scherzo vale” carnevale e li faegn. Si suonano i campanelli e i battocchi per svegliare le persone, come se ci fosse qualcuno ancora addormentato, si urla a squarciagola, si marcia al grido de “li faegn”, “li faegn”. Nessuno si arrabbia, nessuno si lamenta del rumore anzi tutti sono felici e gioiosi.

Visto dall’esterno sembra una banalità portare il fascio invece ci vuole capacità ed esperienza  poiché il fascio bisogna portarlo fino alla fine. Il fascio bisogna consumarlo lentamente per arrivare alla fine, a molti inesperti bruciava tutto insieme immediatamente, non bisogna portarlo ne troppo in verticale ne troppo in basso e neanche all’altezza degli occhi, bisogna stare attenti alla polvere e ai pezzetti di canne volanti e ardenti, inoltre bisogna fare molta attenzione alla direzione del vento ed ogni tanto sbattere i fasci per terra per far cadere le canne già consumate.

Il giro finisce a piazza Duomo, nel frattempo riempito di persone più anziane, dove i fasci e i mozziconi rimasti sono bruciati tutti insieme in un unico gigantesco falò. E davanti ad esso c’è qualcosa di magico, di misterioso, di esoterico, si rimane lì entusiasti e gioiosi, qualcuno esprime il desiderio di un buon raccolto o di una buona annata.  Un anno il sindaco non diede il permesso di fare il falò in piazza Duomo ma dietro al cinema Salotto, fu una forte delusione e un mezzo fiasco.

Dopo il falò le mamme e le ragazze andavano alla Messa dell’Immacolata e di S. Lucia mentre noi uomini andavamo alla villa per giocare e continuare la festa. Nel percorso c’era una tappa fissa, che rientrava nel tutto permesso per quella notte. Si metteva un bastone nel campanello delle suore di Ravasco in modo tale che esso suonasse sempre. Ma sicuramente le suore erano già sveglie o erano andate a messa e penso che avessero staccato il campanello per non sentire il rumore.

Quando ero ragazzo ci svegliavamo la mattina, adesso si resta in attesa per tutta la notte, si gioca, si mangia e si beve. Sicuramente è più bello e gioioso ma leggermente più pericoloso, crea una maggiore emozione e più partecipazione.

L’anno scorso ho partecipato, dopo circa 40 anni di assenza, un po’ arrabbiato per non aver portato il fascio ma davanti al grande falò la commozione e l’emozione furono grandissime, come fosse stato la prima volta. I ricordi della fanciullezza serena e felice passano velocemente nella mente. Se da ragazzo mi chiedevano perché partecipi rispondevo per tradizione e devozione, adesso rispondo che c’è qualcosa di magico che ti spinge, una forza indescrivibile che ti trascina, una mano invisibile che ti guida.

E’ tutto meraviglioso. Tutto rientra nella bellezza della vita, nell’arcano mistero della natura e dalla moltitudine dei sentimenti umani che non siano riusciti a capire da cosa si originano.

Nicola Dell’Arena