Pubblicato Lunedì, 03 Luglio 2017
Scritto da Nicola Cerquitelli

RIFLESSIONI \ OPINIONI

NUOVE SFIDE, L'ITALIA SENZA CLASSE DIRIGENTE ADEGUATA

Le cose si muovono in Italia, in Europa e nel resto del mondo. Si muovono ad una velocità che è molto difficile da intercettare: di solito i mutamenti nella storia sono continui e inesorabili, così come le sfide che una società deve affrontare: nuove forme di lavoro e di rapporti tra imprese e lavoratori, tecnologia e suo impatto con la società, giovani ed immissione nel mercato del lavoro, immigrazione.

Una società deve trovarsi preparata ad affrontare queste sfide. Deve essere in grado di leggerle e decodificarle; la politica, manco a dirsi, è chiamata direttamente in causa.

L’ Italia tuttavia, duole dirlo, difetta di una classe dirigente adeguata.

In particolare, il mondo progressista, a cui appartengo culturalmente, ha prodotto una leadership totalmente incapace: il PD di Matteo Renzi ha deciso di non guardare dal basso la crisi economica, la disoccupazione, le forme di lavoro precario … ma dall’ alto. Non dalla parte di chi vive tutti i giorni la crisi sulla propria pelle, ma dalla parte dell’establishment, cioè da chi la crisi l’ha prodotta. Il Job’ s act, la riforma della scuola, i bonus fiscali, il taglio dell’IMU anche per i più ricchi. Il risultato, per Renzi, sono state sconfitte che si sono sommate a sconfitte. Le più clamorose, di recente, sono state quelle di Genova, La Spezia e Sesto san Giovanni, storicamente monocolore. Il rosso.

I delusi del PD e dintorni sono andati in letargo. Si possono risvegliare? Non è facile, perché quando un elettorato identitario, come quello delle antiche zone rosse, che si è riconosciuto a lungo e in toto nel partito, perde quel legame simbolico e affettivo, e non si riconosce più in quel referente, non ritorna indietro.

“Perché il nostro elettorato non va più a votare?” si è chiesto un allibito Massimo Cialente, ex sindaco dell’Aquila. Buona domanda. Il progetto di questa “sinistra di centro”, anzi, puramente centrista, è stato annientato. Quando Berlusconi è ricomparso tra noi non ha avuto nemmeno bisogno di spiegare che era meglio affidarsi all’ originale.

L’ astensione inoltre ha raggiunto dimensioni monstre. Ignorare che ci sia, o pensare che rappresenti un inevitabile fenomeno della contemporaneità non solo è sbagliato, ma suicida: molti dei voti della sinistra persi e da riconquistare sono lì, e d’ altra parte sono lì anche molti consensi che di volta in volta vanno a ingrossare le fila dei movimenti populisti e protestatari. D’ altronde questa ricerca del voto al centro è un feticcio. Renzi diceva che la sinistra aveva bisogno di cambiare. Di fatto, la sinistra è andata snaturandosi, assumendo somiglianze di famiglia con la destra e, per di più, le vittorie promesse non sono mai arrivate. Anzi. Sono arrivate debacles clamorose, spianando il ritorno della destra dura e pura.

Menomale qualcosa si sta muovendo a sinistra. Fuoriusciti del Pd hanno compreso che la società italiana non vuole il renzismo e lo rigetta. Lavoro è la parola d’ ordine. Il nocciolo non è capire come licenziare più facilmente (job’ s act) ma come crearlo e, soprattutto, mantenerlo. Anche per quei giovani che fanno da anni una vita da disoccupati o da sfruttati. Articolo 1, il movimento fondato da Bersani, D’ Alema e altri, sta lavorando per elaborare una piattaforma comune con Giuliano Pisapia, con la sinistra di Fratoianni e con tutte le associazioni civiche sparse sul territorio.

Sta nascendo una “cosa rossa” con la ferma volontà di antagonismo rispetto alla stagione renziana (la posizione di Pisapia a dire il vero non l’ho compresa).

Si spera nasca un movimento di pensiero vicino alle idee di Corbyn, Melenchon, Iglesias, Tsipras; non un ennesimo nuovo volto del blairismo.

Gente come Massimo D’ Alema sembra aver chiuso con quel periodo. All’ incontro promosso da Pisapia presso la piazza S. Apostoli a Roma, D’ Alema ha dichiarato che “andremo alle elezioni ognuno con la sua piattaforma. Se mai avremo un grande successo come io spero, sarà possibile riaprire un discorso con il PD per spingerlo a tornare una forza che vuole fare il centrosinistra, perché il ‘ centrosinistra’ non è una parola, è una politica e la politica di questi anni non è stata di centrosinistra”.

Norberto Bobbio ha giustificato il suo esser di sinistra a causa del “disagio di fronte allo spettacolo delle enormi disuguaglianze, tanto sproporzionate quanto ingiustificate, tra ricchi e poveri, tra chi sta in alto e chi sta in basso nella scala sociale”. L’ uguaglianza è la stella polare che guida l’agire di una forza politica che vuole definirsi progressista: uguaglianza, si badi bene, che non vuol dire livellamento ma dare maggiore importanza ai modi di attenuare e ridurre i fattori della diseguaglianza.

La direzione da seguire per le forze di sinistra non può che essere ostinata e contraria rispetto a tutto ciò che ha favorito l’acuirsi delle ingiustizie sociali.

Nicola Cerquitelli