Pubblicato Martedì, 30 Ottobre 2012
Scritto da Maria Cristina Verrocchio

Riflessioni sul caso di Padova

QUANDO I GENITORI USANO I FIGLI COME ARMI LA BATTAGLIA DEI VALORI E’ GIA’ PERSA

Sul caso del bambino di Cittadella si sono focalizzati per circa una settimana tutti i principali canali informativi, ed ora, da qualche giorno, sembra sceso il sipario.

Il caso è stato oggetto di grande attenzione per la tragicità del modo in cui è stato allontanato dalla madre: con violenza e contro la sua volontà.

In questo attuale silenzio mass mediatico (fin troppo auspicato) può essere interessante fare alcune riflessioni circa una problematica molto attuale che riguarda la conflittualità e l’alienazione genitoriale.

Il bambino di Padova ormai da diverso tempo stava vivendo una vita non facile in quanto “costretto” in situazioni di per sé perturbanti un sereno sviluppo psichico (nei servizi sociali, nei tribunali, ecc.), a causa dell’incapacità dei suoi genitori di trovare accordi che consentissero visite regolari con il padre. Tale incapacità ha determinato l’ingresso in campo del sistema giustizia.

Nei casi in cui un minore non vuole più incontrare un genitore (padre o madre) è necessario comprenderne le ragioni. Riprendendo il caso di Cittadella: come mai il bambino non voleva vedere il padre? Esistevano comportamenti pregiudizievoli di vario tipo (ad opera del padre e/o della madre) che hanno determinato il rifiuto di questo bambino del padre?

Sembra che i diversi procedimenti giudiziari si sono interessati di capire quali ragioni avevano portato a questo distacco dalla figura paterna.

Nel momento in cui si delega al sistema giustizia di decidere sul proprio figlio e su quale sia la migliore condizione per lui, come mai le decisioni che prende il sistema giustizia poi non vengono accettate? Il sistema giustizia emettendo un certo tipo di sentenza “da la colpa o la ragione” ad uno dei due genitori, in modo più o meno esplicito, continuando a contribuire alla prosecuzione di una guerra nella quale nessuno dei due genitori vuole deporre le armi. I primi a cadere in queste guerre sono ovviamente i più deboli, ossia i bambini, messi sul campo di battaglia privi di qualsiasi arma adeguata e consona alla loro età. O meglio, spesso i bambini vengono armati e diventano protagonisti attivi di queste battaglie, vengono dotati di armi potentissime che tuttavia sono assolutamente molto pesanti da gestire e da maneggiare. Essersi caricati di armi così pesanti influisce pesantemente su di loro. Per uscire dalla metafora, ormai una consolidata letteratura scientifica internazionale ha dimostrato che i figli di genitori separati, ingaggiati in dispute, triangolati, “sgenitorializzati” e alienati da una figura genitoriale subiscono numerose conseguenze psicologiche e psicopatologiche a breve e a lungo termine in vari domini.

Evidentemente ci sono aspetti molto più profondi da considerare, in quanto questa “delega” al sistema giustizia viene data dai genitori in maniera automatica e inconsapevole. I genitori, così impegnati a litigare e a confliggere, perdono di vista questa consapevolezza banale: se si entra nel sistema giustizia c’è qualcun altro che può e che deve prendere decisioni che mirano all’interesse del proprio figlio.

In questa vicenda di cronaca, come mai i mass media non hanno dato il giusto rilievo a tutta la situazione e soprattutto alle decisioni assunte dal sistema giustizia?

Da un’analisi più attenta è emerso che la madre aveva da tempo perso la potestà genitoriale, che era stato dimostrato il suo condizionamento che aveva portato all’alienazione del padre e che si era ritenuto più utile che il minore fosse affidato al padre dopo un periodo di permanenza in una struttura protetta. La Corte d’Appello aveva rigettato la richiesta di sospensione avanzata dalla madre.

I mass media, al di là dei fatti inerenti tutta la vicenda, hanno messo in evidenza la modalità violenta e ampia parte del dibattito ha riguardato sia l’inaccettabilità di tali modalità di allontanamento sia la ricerca di responsabilità in quegli agenti di Polizia protagonisti del video. Siamo alla ricerca di mostri che hanno agìto violenza su quel bambino.

Limitarsi a queste riflessioni è alquanto riduttivo ed improduttivo. Approfondendo la questione: chi per primo ha agìto violenza su quello stesso bambino? Chi ha portato a questo allontanamento così violento?

Discutere sulla modalità violenta è abbastanza semplice; esprimere il nostro sdegno e dissenso è ciò che viene determinato, con maggiore spontaneità, dal vissuto provato da chiunque abbia visto questo video. Tristezza, impotenza, ingiustizia, rabbia…questi alcuni dei vissuti che emergono vedendo un bambino portato via con forza, un bambino che chiede aiuto al nonno, alla zia.

Bene, ma questi nonni, questa zia cosa hanno fatto? Urlavano, riprendevano con il cellulare, tentavano in tutti i modi di “non farlo portare via”. La zia diceva: i bambini vanno ascoltati.

Cosa si intende dire: i bambini vanno ascoltati? Forse che quando un bambino dice che non vuole vedere il padre va assecondato e lasciato perdere? Purtroppo chi si occupa di psicologia e di comprensione di dinamiche intrapsichiche ed interpersonali in queste vicende così tristi, sa che non è sufficiente intendere in questo modo l’ascolto del minore. Ascoltare il minore vuol dire non solo ascoltare il contenuto delle sue comunicazioni ma comprendere più a fondo il suo vissuto emotivo, ascoltare quindi la sua sofferenza quando dice che non vuole più vedere il suo papà, un papà chiaramente di cui abbiamo certezza che non ha compiuto azioni violente nei suoi confronti. Un bambino che dicendo che non vuole più vedere il padre sta rifiutando una parte di Sé, sta dunque rescindendo una parte della sua storia e della sua identità.

Il punto che mi sembra interessante rilevare è il nostro sistema socio-giudiziario non funziona e non funziona da tanto tempo, non avendo strumenti utili per intervenire in situazioni di questo tipo.

E’ responsabilità sociale, e quindi di tutti, stimolare un dibattito che diventi veramente proficuo proprio per l’interesse di tutti quei bambini che ogni giorno subiscono gravi violenze (seppur non documentate da video), che ogni giorno diventano prede di genitori incapaci di gestire le proprie problematiche intrapsichiche ed interpersonali irrisolte. E’ quindi una responsabilità sociale non avviare una nuova caccia alle streghe in cui i demoni da scacciare diventano i padri, per alcuni, o le madri, per altri, o le forze dell’Ordine o gli assistenti sociali che rubano i bambini. O ancora demonizzare una Sindrome (la PAS) in sterili dibattici pseudoscientifici in cui ci si schiera da una parte o dall’altra per dimostrarne o meno l’esistenza.

La realtà attuale è che ci sono molti bambini a cui viene tolto il diritto di crescere con uno dei genitori. Ed è su questo diritto del bambino ad avere accanto entrambi i genitori e sul diritto/dovere di ogni genitore di prendersi cura del proprio figlio che vanno argomentate tutte le nostre riflessioni con l’intento di evidenziare le lacune e le problematicità di intervento presenti nel nostro Paese.

dott.ssa Maria Cristina Verrocchio
Psicologa-Psicoterapeuta, Ricercatore Confermato di Psicologia Clinica, Esperta in Psicologia Clinica forense
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