Pubblicato Martedì, 07 Marzo 2017
Scritto da Santino Verna

Sull'onda amica dei ricordi...

LO SLAVISTA ALDO CANTARINI A 10 ANNI DALLA MORTE

Il 13 marzo 2007 un’emorragia cerebrale poneva fine all’intensa giornata terrena di Aldo Cantarini, slavista di fama internazionale, docente di Filologia Slava all’Università degli Studi di Perugia. La forte fibra fu abbattuta, appena dopo un doloroso evento per l’ateneo perugino, la morte della giovanissima Marianna, per una malattia ribelle ad ogni tentativo della scienza, figlia del Prof. Brunello Natale De Cusatis, grande lusitanista, docente di Letteratura portoghese.

Aldo Cantarini era nato a Desenzano del Garda nel 1946. Poliglotta e profondo conoscitore di tantissimi aspetti della sgargiante cultura slava, teneva lezioni a Palazzo Meoni, a Via del Verzaro, ad un tiro di schioppo dalla facoltà di lettere e filosofia. Davide e Golia si potrebbe dire, per l’appariscente Palazzo Manzoni (non c’entra nulla con Alessandro), e lo stabile nel vicoletto dove si rimaneva attratti dai muri tutti puliti, situazione insolita in una scuola statale.

Lo sentii nominare la prima volta, appena arrivato a Perugia, nel novembre 1996, quando in Piazza Morlacchi, alla fine dei corsi pomeridiani, si facevano conoscenze e amicizie. Paolo Quaranta, Paolo Feliciotti e Massimiliano Zafferami, gli amici della prima ora. A questi si aggiungeva Raoul Mantini, del corso di laurea in lingue, con la passione dell’Europa orientale.

Una passione condivisa con il sottoscritto. Poco tempo dopo facemmo uno scherzo di buon gusto, nella casa di Silvia Bonomi, a Marsciano, quando mi spacciai per un serbo, dicendo soltanto poche parole. A metà della lauta cena, tutti scoprirono la verità e ridemmo a crepapelle.

Tanto mi parlò bene Raoul del Prof. Cantarini che volli mettere Filologia Slava nel piano di studi. Quando presentai la carta per l’approvazione, il Prof. Giovanni De Santis, docente di Geografia, poi trasferito all’Università di Verona, incrociando, questa volta, anche la geografia della mia vita, ebbe un attimo di apparente perplessità, ma poi appose la firma.

Le lezioni di Aldo Cantarini si tenevano nel primissimo pomeriggio e il suo aspetto imponente già immetteva nel clima dell’Europa Orientale, in questo caso di scrittura cirillica. Perché non era l’Est-Europeo gravitante sull’Europa atlantica, ma l’Oriente dell’ortodossia che il Professore spiegava con diligenza all’interno del corso. Soluzione che poteva permettersi perché la filologia slava è impastata di conoscenze sacre, a differenza di quella romanza, dove fui bocciato dalla Prof.ssa Barbara Spaggiari, il 3 febbraio 1999. Date che non si dimenticano. Invece di presentarmi di nuovo, con maggiore preparazione, alla sessione successiva m’iscrissi a Storia della Linguistica, con il Prof. Domenico Santamaria.

Per ragioni di anni sabbatici, non ho potuto dare l’esame con il Prof. Cantarini. Ma diedi ugualmente Filologia Slava, con la Prof.ssa Olga Simcic, originaria di Fiume. Lo stile era quello del venerando professore di Desenzano, ma romano di adozione, con la disciplina che diventava, anche se non potevo dirlo a squarciagola, storia della Chiesa. Da un orientale con la passione dell’ortodossia, passavo ad una croata che aveva respirato la solidità di Maria Teresa d’Austria.

Però mi ritrovai il Prof. Cantarini nella commissione di laurea, nella Perugia dove sono presenti gli strascichi della contestazione intrisi di una specie di scudo protettivo contro i fastidi della goliardia. Quel giorno i professori andavano in borghese, in abiti dignitosi e il Prof. Cantarini sfoggiava la ben curata barba come un pope. Era nella commissione in quanto relatore di Raoul. Per il sottoscritto c’erano i Proff. Corrado Fratini e Giancarlo Gentilini, relatore e correlatore e quest’ultimo mi disse poco prima: “Sarò l’avvocato del diavolo, ma sarò un buon diavolo”, scherzando sul frasario del mondo in cui sarei entrato non molto dopo.

Non ebbi molte altre occasioni di incontrare Aldo Cantarini. Il tramite era sempre Raoul con cui continuavo la corrispodenza epistolare, prima della conversione alla posta elettronica. Poi un giorno mi arrivò la comunicazione, sempre dall’amico di Marcellano: il Professore è morto. Poiché il giorno della nascita al Cielo distava tre giorni da quello di mio nonno Santino che veglia su di me dal Paradiso più di ogni altro, mi è stato sempre facile ricordarlo, ogni anno, sia pure con una giaculatoria telegrafica, con quella “mezza Ave Maria” raccomandata dal poeta Raffaele Fraticelli.

La cifra tonda poteva essere occasione per un bel convegno di studio a Perugia, dove ha profuso le migliori energie con uno stuolo di alunni, alle prese con ulteriori esami, aggiornamenti e concorsi, ma sempre consapevoli di aver avuto e avere ora dal Cielo, un grande maestro.

Purtroppo la dimenticanza è uno sport nazionale, e l’Italia è tra le prime in classifica. Forse a qualcuno sembrerò deamicisiano, sottolineando i professori e il passato che non torneranno più, ma la gratitudine è una virtù che dobbiamo e vogliamo conservare e custodire.

Grazie Prof. Cantarini perché attraverso le letterature dell’Est Europeo hai svolto una catechesi, per tutti noi studenti, sparsi in vari angoli della terra.

SANTINO VERNA