Pubblicato Domenica, 15 Gennaio 2017
Scritto da Santino Verna

LE TRADIZIONI DELLA NOSTRA TERRA

IL S. ANTONIO IN PIAZZA SALOTTO A PESCARA

Un’insolita cornice per il S. Antonio è stata Piazza Salotto a Pescara, nell’imminenza della festa del protettore degli animali. Corso Umberto, con il salotto della città dannunziana, si presta poco per l’itineranza dei “santantoniari”, per le ormai poche case abitate con la gente che difficilmente offre il materiale suino.

Il gruppo “Lupi della Maiella” , nato nel 2012, per indagare la musica di tradizione orale con tutti i suoi risvolti, composto da Alessandro Salerno, Luca Sulcanese, Giovanni Mauro, Sebastian Giovannucci e Marcello Sacerdote, ha animato il primo giorno del triduo, all’ombra dell’Elefantino di Vicentino Michetti. Il freddo dei giorni precedenti è passato, la neve si è del tutto sciolta, ma in pochi angoli dove non picchia molto il sole è rimasta la poltiglia.

Nel corridoio per arrivare a Via Carducci, con la dimora del grecista Zopito Di Tillio, amante di tradizioni popolari, anche se di lui non ricordo una poesia in vernacolo o il testo di una canzonetta abruzzese, la piccola formazione musicale comincia a scaldarsi, senza suscitare molto l’attenzione dei passanti, perché sono soltanto strumenti e involucri. Giovani musicisti come tanti, ma qui parliamo di una disciplina contigua alle scienze sociali, l’etnomusicologia.

Corso Umberto, con gli esercizi dedicati prevalentemente all’abbigliamento, è sempre un luogo frequentato, da gente di ogni età, per una cioccolata calda o l’entrata nel negozio, a volte senza acquistare nulla, data la crisi. Le giostre, i furgoni con i cibi-passatempo, gli artisti di strada, le luminarie nel periodo di Natale, il clochard con tanto di cartello, le biciclette nelle rastrelliere per chi deve entrare velocemente in banca o in ufficio, fanno di quest’angolo di Pescara, una Parigi con il sole più forte. Il S. Antonio cade a fagiolo, per ribadire l’abruzzesità, proprio nella moderna metropoli (non è esagerazione ribadirlo), quest’anno in festa per i 90 anni di vita. Si trova nell’unica area metropolitana del Medio-Adriatico e a Pescara sono confluiti abruzzesi di tutte le località.

Scorrono pertanto nella mente le immagini delle farchie di Fara Filiorum Petri e Casacanditella, il corteo di Ateleta, i cicerocchi di Collelongo, l’incanto di S. Valentino in Abruzzo Citeriore, per menzionare i comuni che abbiamo imparato a conoscere, non tanto sui banchi di scuola, ma attraverso la RAI e le TV commerciali della regione. E le varie rappresentazioni musicate del S. Antonio, con i canti senza travestimenti, un tempo un’esigenza per la gente povera.

Al microcosmo di S. Antonio Abate ha dedicato un importante studio Emiliano Giancristofaro. Nel 1993, con la regia di Elia Iezzi, ha confezionato un documentario, relativo all’Abruzzo, con i riti solstiziali legati al fondatore del monachismo. Non per allungare il brodo, ma per meglio comprenderne le complesse celebrazioni, il prologo è dedicato alle feste natalizie, per giungere al giorno di S. Sebastiano, tanto diverso fisicamente dall’eremita della Tebaide, almeno nell’immaginario popolare alimentato da leggenda e iconografia, ma connesso a S. Antonio Abate per i simboli del fuoco e del pane, e anche per un canto tradizionale, tipico di Vasto, eseguito sulla falsariga del S. Antonio, ma senza un giovane che impersona il martire colpito dalle saette. Con il S. Antonio ha avuto molta popolarità, grazie a TRSP, l’emittente cattolica di Don Stellerino D’Anniballe.

I “Lupi della Majella” sono una fresca formazione della Val Pescara, e c’è l’ennesimo riferimento alla Montagna Madre, sacra per gli abruzzesi, prima dell’avvento del cristianesimo, arrivato nei primi secoli e promosso dalla presenza benedettina, a S. Liberatore e S. Martino. Nel Medioevo fu scelta da S. Pietro Celestino per la contemplazione e l’appartenenza a Chieti e Montecassino, fecero della Maiella un monte ben associato alla Chiesa.

Il lupo rimanda al “mare magnum” delle tradizioni abruzzesi, a partire da Pretoro dove ogni anno viene rappresentato, attraverso una pantomima,  il miracolo di S. Domenico che obbliga il famelico animale a restituire un bimbo di poche settimane a due poveri boscaioli.

Il gruppo giovanile usa strumenti etnodemologici come l’organetto (Sebastian l’ha appreso dal nonno Adorino in tenerissima età), il tamburo a frizione, il triangolo, la zampogna e un cordofono greco. I veri strumenti del canto e della rappresentazione del S. Antonio. Tra i brani sono stati eseguiti uno di Paglieta e uno di Penna S. Andrea.

SANTINO VERNA